Proteste contro l’invasione di Gaza, Israele in rivolta contro Netanyahu

Proteste contro l’invasione di Gaza e Paese bloccato, Israele in rivolta contro Netanyahu che insiste con l'offensiva nella Striscia

Proteste contro l’invasione di Gaza, Israele in rivolta contro Netanyahu

Con le trattative di pace in stallo e l’occupazione di Gaza City che, malgrado la posizione della comunità internazionale, prosegue senza sosta, nella Striscia di Gaza si continua a combattere e a morire. Una guerra senza fine, con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che non sembra disposto a fermarsi, alimentando i timori per la salute degli ostaggi ancora in mano ad Hamas, di cui giungono sempre meno notizie.

Proprio per questo, in tutto lo Stato ebraico – come riporta il Times of Israel – stanno esplodendo proteste di piazza, con cittadini che hanno bloccato il traffico in numerose strade e autostrade, di fatto paralizzando il Paese, per chiedere al governo Netanyahu il recupero degli ostaggi e la fine dei combattimenti a Gaza. Secondo fonti locali, durante le manifestazioni non sono mancati momenti di tensione: decine di persone hanno bloccato lo svincolo di Yakum, nel centro del Paese, dando fuoco a pneumatici. Un’altra protesta, fortunatamente pacifica, si è svolta davanti all’abitazione del ministro degli Esteri Gideon Sa’ar e a quelle di diversi altri ministri, ritenuti responsabili di non voler trovare una exit strategy dal conflitto.

La lettera dei Patriarchi

Malgrado le imponenti proteste di piazza, il governo di Tel Aviv non sembra intenzionato a modificare i propri piani: l’offensiva su Gaza City si intensifica e l’esercito israeliano (Idf) ha chiesto a tutti i residenti di abbandonare la città. Una richiesta a cui si sono opposti i religiosi dell’area con una lettera congiunta: “Il clero e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che saranno nei complessi”.

Così si apre la missiva firmata dal patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, e dal patriarca greco-ortodosso Teofilo III, che annunciano di non voler lasciare la città dopo la decisione di Israele di occupare la Striscia. “Lasciare Gaza e cercare di fuggire verso sud sarebbe una condanna a morte” aggiungono i due, ribadendo che “non può esserci futuro basato sulla prigionia, sullo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta. Non c’è motivo di giustificare lo sfollamento di massa deliberato e forzato di civili”.

“Dallo scoppio della guerra – prosegue la nota – il complesso greco-ortodosso di San Porfirio e il complesso della Sacra Famiglia sono stati rifugio per centinaia di civili”, aggiungendo che “non sappiamo esattamente cosa accadrà sul campo, non solo per la nostra comunità, ma per l’intera popolazione. Facciamo nostro quanto affermato qualche giorno fa da Papa Leone XIV: tutti i popoli, anche i più piccoli e deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nella propria terra; e nessuno può costringerli all’esilio”.

La scia di sangue

Il problema è che la guerra non sembra vicina a una conclusione. Il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al Ansari, ha spiegato che Israele “non vuole rispondere” all’ultima proposta di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, avanzata dai mediatori e già accettata da Hamas. A suo dire Netanyahu “non ha fornito alcuna risposta ufficiale alla proposta, né positiva né negativa, e non ha offerto opzioni alternative”.

Per questo, al Ansari ha chiesto alla comunità internazionale di fare pressione su Israele per arrivare alla fine del conflitto. In attesa di segnali dalla diplomazia, nella Striscia anche ieri si è vissuta una giornata di sangue: almeno 75 palestinesi sono stati uccisi nei raid dell’Idf e altri 370 sono rimasti feriti. Tra le vittime delle ultime 24 ore c’è anche una persona colpita dall’esercito israeliano mentre attendeva gli aiuti umanitari vicino al corridoio di Netzarim, nella zona centrale di Gaza. Un’uccisione per la quale l’Ue e diverse ong chiedono spiegazioni a Israele che, per ora, ha scelto di non commentare.