Nel giorno in cui Benjamin Netanyahu ha bloccato gli aiuti umanitari a Nord Gaza per compiacere Bezalel Smotrich — il suo ministro delle Finanze con la pistola puntata sul governo — lo stesso Smotrich stringe la morsa su Masafer Yatta. La nuova direttiva militare approvata dal Central Planning Bureau sancisce il rifiuto automatico di tutte le richieste edilizie palestinesi nell’area: fine della finzione legale, inizio della deportazione sistematica.
È una strategia esplicita. Nei documenti interni dell’esercito si parla di rendere “sterile” la zona, di usare “tutti gli strumenti disponibili” per evacuare chi resiste. Le case demolite a Khilet Al-Dabe’, i pastori aggrediti, le famiglie costrette a tornare nelle grotte: non sono incidenti, sono la prassi. Dietro la foglia di fico del “bisogno militare”, si fa spazio all’annessione de facto e all’espulsione.
E mentre Netanyahu promette piani “per impedire che Hamas rubi gli aiuti”, nessuna evidenza prova che i camion siano stati violati dai miliziani. La fame serve alla propaganda e i morti — 74 solo mercoledì, 519 nell’ultimo mese — diventano cifra collaterale di un assedio senza nome. Il video usato per bloccare gli aiuti mostra guardie tribali, non combattenti: ma la verità qui è un ostacolo, non un criterio.
Masafer Yatta è lo specchio di Gaza: stesso governo, stessa ideologia, stesso progetto. Non più guerra, ma controllo del territorio attraverso la carestia, la burocrazia e la violenza privata. È apartheid senza cerimonie. Smotrich lo dice chiaro: “Opponiamo all’esistenza palestinese un progetto messianico.”
Non si può dire che non ce lo stiano dicendo. Lo stanno facendo.