Il Punto di Mauro Masi. Se il “diritto all’oblio” diventerà globale sarà una decisione storica che cambierà la Rete

Il 13 maggio 2014 la Corte di Giustizia Europea ha introdotto il “diritto all’oblio” nel senso che ha stabilito che i cittadini UE hanno diritto di richiedere ai motori di ricerca (quindi essenzialmente a Google) la rimozione di informazioni associate al proprio nome quando queste siano “inadeguate, irrilevanti, non pertinenti o non più pertinenti”. Qualora il motore non ottemperi, l’interessato può adire le competenti autorità nazionali che valutano la fattispecie e, se del caso, possono imporre allo stesso motore di ricerca la soppressione del link. Le autorità nazionali, scriveva allora la Corte, dovranno bilanciare il diritto alla protezione dei dati personali con l’interesse generale ad una corretta e completa informazione. Google, dopo aver criticato duramente e tentato di opporsi alla sentenza, ha poi deciso di ottemperare e di farlo in via immediata mettendo a disposizione dei cittadini europei un modulo on-line attraverso il quale richiedere la rimozione dei contenuti rientranti nel “diritto all’oblio”. Negli oltre  quattro anni successivi sono peraltro emerse almeno due grandi problematiche. La prima è di natura giuridica: la sentenza della Corte ha lasciato  un ampio spazio di interpretazione (quando, ad esempio, una notizia è “irrilevante” o “non più pertinente”?); uno spazio che, nell’impostazione originaria, la Corte stessa sembrava riservare alle varie autorità nazionali. Nella prassi di questi anni però lo spazio interpretativo è stato occupato, di fatto, essenzialmente da Google che è diventato l’arbitro (con propri criteri non necessariamente noti al pubblico) del bilanciamento tra diritto alla privacy e libertà di espressione. La seconda problematica, ancora più pervasiva, è di natura tecnica: il diritto all’oblio non esiste negli Stati Uniti e fuori dalla UE e Google fin dall’inizio ha deciso di vagliare solo le richieste relative alle proprie estensioni europee per cui un contenuto rimosso ad esempio da google.it o da google.uk può essere comunque raggiungibile da google.com (il sito globale di BigG). In questo specifico scenario si è inserita la giustizia francese aprendo un procedimento che può portare ad un cambiamento molto significativo del modus operandi dei motori di ricerca: nel 2015 il Garante per la privacy francese ha stabilito infatti che Google doveva rimuovere i link non solo dalla versione francese del motore di ricerca ma tale  rimozione era da estendersi a tutte le diramazioni dello stesso. Google, ovviamente, ha resistito e nel 2016 è stato multato con la sanzione simbolica di 100.000 euro per la quale Big G (preoccupata dall’effetto “annuncio” e di “precedente” della sentenza) ha adito il Tribunale amministrativo supremo francese che ha rinviato il caso alla Corte di Giustizia Europea; questa ora ha fatto sapere che si pronuncerà nelle prossime settimane. La decisione stabilirà se chiunque nel mondo potrà chiedere la deindicizzazione globale o se, invece, il diritto all’oblio dovrà essere nazionale o, al limite, continentale. Sarà una decisione storica, che comunque cambierà la Rete.