Quando il vuoto di rappresentanza spinge l’estrema destra: il caso tedesco dell’Afd e l’ago dell’immigrazione

Il fattore decisivo del successo dei partiti di destra in Europa è il vuoto di rappresentanza, secondo un nuovo studio.

Quando il vuoto di rappresentanza spinge l’estrema destra: il caso tedesco dell’Afd e l’ago dell’immigrazione

Il successo dei partiti di estrema destra in Europa continua a interrogare politologi ed economisti. L’ipotesi più diffusa attribuiva il fenomeno a crisi economiche, sfiducia nelle istituzioni o paure legate alla globalizzazione. Ma un nuovo filone di studi dimostra che il fattore decisivo è un altro: il vuoto di rappresentanza.

Come ricorda Lorenzo Ruffino, in quasi tutti i Paesi europei i cittadini risultano più conservatori della classe politica sui temi culturali – immigrazione, sicurezza, identità nazionale, rapporti con l’Unione europea – mentre sui temi economici le distanze tra elettori e parlamentari sono contenute. Questa asimmetria spiega perché lo spazio politico aperto a destra continui a essere occupato e alimentato dai movimenti radicali. È la fotografia di un continente in cui le paure sociali trovano interpreti più pronti dei partiti tradizionali.

Il caso tedesco e l’esperimento sulla Cdu

Lo studio più recente, firmato dall’economista Laurenz Guenther (Toulouse School of Economics) e da Salvatore Nunnari (Bocconi), ha messo alla prova questa tesi con un esperimento sulle elezioni federali tedesche del febbraio 2025. A cinquemila cittadini tedeschi sono state fornite informazioni manipolate sulla posizione della CDU in tema di immigrazione: a un gruppo il partito veniva presentato come più liberale, a un altro come più restrittivo. L’esito è stato netto: quando gli elettori percepivano la Cdu più vicina alle loro preferenze conservatrici, il sostegno ad Alternative für Deutschland (Afd) calava bruscamente; se invece la Cdu appariva più aperta, Afd cresceva.

Le stime degli autori mostrano che se la Cdu avesse adottato la stessa posizione di Afd, quest’ultima sarebbe crollata dal 20,8 per cento del 2025 a circa il 5 per cento. Il meccanismo è chiaro: non è la “protesta irrazionale” a determinare il voto populista, ma la distanza percepita tra cittadini e partiti mainstream. La scelta di campo, anche se solo percepita, ha un effetto diretto sul consenso.

Una distanza strutturale, non episodica

Ruffino sottolinea come questa forbice non riguardi solo categorie specifiche ma attraversi l’intero corpo elettorale. Uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri, laureati e non laureati: tutti mediamente più conservatori dei loro rappresentanti. Persino molti immigrati, spesso percepiti come beneficiari di politiche aperte, chiedono maggiori restrizioni ai flussi e più obblighi di assimilazione. La distanza tra società e partiti, dunque, non è il riflesso di una stagione passeggera, ma una costante che il dibattito politico tende a rimuovere.

Il problema, dunque, non è congiunturale. Quando un tema come l’immigrazione diventa centrale nell’agenda pubblica, il divario si “attiva” e viene capitalizzato dai partiti radicali. AfD in Germania, ma anche Rassemblement National in Francia o Reform UK in Gran Bretagna, hanno costruito il proprio radicamento proprio su questa dinamica. Non è la società a spostarsi verso posizioni estreme, è la politica tradizionale a lasciare un varco che altri occupano.

La posta in gioco

L’esperimento tedesco dimostra che chiudere il gap non significa soltanto recuperare qualche voto al centrodestra: significa soprattutto sottrarre ossigeno alle destre radicali, che si nutrono di quella distanza. La simulazione elaborata da Guenther e Nunnari mostra che uno spostamento anche lieve della CDU verso posizioni più restrittive ridurrebbe di quasi cinque punti il consenso di AfD, riportando voti ai partiti tradizionali. È un effetto asimmetrico: il guadagno per la CDU è moderato, ma la perdita per AfD è consistente, segno che l’elettorato radicale è in larga parte intercettabile.

La conclusione, osserva Ruffino, è che il successo dell’estrema destra non nasce da un errore degli elettori o da un puro malessere sociale, ma da una dinamica strutturale di offerta politica. Finché i partiti tradizionali restano più a sinistra del loro elettorato su temi cruciali, lasciano un corridoio aperto che i movimenti nazionalisti percorrono con facilità. La politica europea è chiamata a misurarsi con questo nodo: non basta denunciare la retorica populista, serve interrogarsi sullo scarto che l’ha resa vincente.