Il piano di Trump per Gaza sembra piuttosto una “soluzione finale”. Un popolo maciullato, Usa e Ue che appoggiano lo sterminio, la speranza d’uno Stato palestinese ancora nel limbo come da 77 anni. Che cosa rimane del 7 ottobre? Quel giorno fu una vittoria di Pirro?
Norberto Valentini
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Gentile lettore, al tragico bilancio aggiunga che i palestinesi uccisi a oggi non sono 70.000 come si legge dappertutto: sono almeno mezzo milione, ma nessuno lo dice. I morti erano 450.000 ad aprile: è scritto in un documento dell’Idf venuto in possesso dell’Università di Harvard. L’Università di Edimburgo parla di 680.000 morti. Su una popolazione di 2,3 milioni, significa l’eliminazione del 20%. E si stima un 60% di feriti, spesso resi inabili a vita. Un prezzo umano strabiliante. Fu una vittoria di Pirro? Molte cose non tornano. Vari soldati israeliani dicono che il 7 ottobre ebbero l’ordine di non pattugliare il muro di Gaza. Perché? Netanyahu sapeva? Voleva l’incidente per stabilizzare la sua poltrona vacillante? Il piano d’attacco di Hamas fu redatto dal Yahya Sinwar, poi morto da eroe. Su cosa si basava? Quasi certamente sul previsto intervento delle monarchie del Golfo, che avrebbero bloccato le forniture di petrolio all’Occidente, che a sua volta avrebbe costretto Israele a trattare. Erano gli arabi la leva decisiva del piano. Ma quella leva non si è mossa. Totale apatia. Per questo Chris Hedges, ex corrispondente del New York Times per il Medio Oriente, parla del “tradimento degli arabi” nel suo libro Un genocidio annunciato, edito da Fazi. Cosa rimane, lei mi chiede? Rimane appunto il tradimento degli arabi.
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