Raffaele teme il buio Fitto

Di Paola Di Caro per Il Corriere della Sera

La confusione è grande sotto il cielo di Arcore, molto più di quanto si potesse immaginare alla vigilia del voto sulla riforma del Senato. Perché, al di là della linea ufficiale più volte ribadita dallo stesso Berlusconi e confermata dai suoi fedelissimi in queste ore — il patto con Renzi è stato sottoscritto e verrà mantenuto — i dubbi nel partito, e nello stesso Cavaliere, anziché scemare aumentano.

Ad alimentare un quadro sempre più confuso, ieri è arrivata come una bomba una lunga lettera aperta di Raffaele Fitto allo stesso Berlusconi che mette nero su bianco quello che gli aveva già detto giovedì scorso a pranzo e che è pensiero condiviso da moltissimi azzurri, e non solo: «Potrebbe averla scritta lo stesso presidente… Quelli sono i discorsi che ci fa ogni volta che ci sediamo attorno al tavolo» ammette uno del suo ristretto inner circle.

Sì perché Fitto passa in rassegna quello che nel testo sul Senato non va: la non elettività, l’innalzamento del numero di firme per chiedere il referendum, il rischio di conflitti tra Camera e Senato e la mancanza di modifiche sulla forma di governo. Tutte perplessità che — denuncia Fitto — a sollevarle si viene accusati di non essere «fedeli» a Berlusconi o di tradire quel patto del Nazareno che in pratica vincola all’obbedienza solo FI, mentre già sulla legge elettorale «il patto non c’è più».

Un’accusa velata ma chiara a Verdini, che sul rispetto del patto e sulle conseguenze in caso di rottura («Salterà l’Italicum, Renzi ci porterà a votare col Mattarellum») ha dettato la linea ai senatori. Ma soprattutto, Fitto contesta la «fretta» con cui si vuole procedere: «Stiamo sbagliando. Sembriamo ipnotizzati da Renzi. Non è accettabile che, nel silenzio del nostro partito, Renzi si permetta di ridicolizzare alcuni nostri senatori solo perché la pensano diversamente». E ancora: «Siamo sicuri che questo atteggiamento così passivo sia utile a te e alla nostra parte politica? Secondo me no», tutto questo «è sbagliato» e nulla cambierà sulla giustizia «come già abbiamo avuto modo di verificare in questi anni».
Fitto ritiene che anche Berlusconi nutra queste «perplessità».

Chi ha parlato con l’ex premier negli ultimi giorni lo ha trovato «meno convinto di prima» del cammino imboccato e l’angoscia crescente per il verdetto nel processo d’appello — suo primo e quasi esclusivo pensiero — non aiuta a chiarirgli le idee. Tanto che ieri sera una sorta di comitato di crisi si è riunito ad Arcore: Rossi, Bergamini, Toti, Romani, Ghedini, in contatto telefonico con gli altri big — da Verdini a Gasparri a Gelmini — hanno ragionato sul da farsi.

E hanno reagito con una nota di Romani rivolta a Fitto nella quale si replica a tutti i punti di merito sollevati difendendo il lavoro fatto, si nega di essere «ipnotizzati da Renzi» perché con lui si fanno «solo le riforme», si precisa che se verranno meno gli accordi su riforme comuni, sulla giustizia e soprattutto sulla legge elettorale tutto tornerà in discussione e gli si chiede conto della «richiesta di prendere tempo: per cosa? Per cambiare un accordo che abbiamo già migliorato moltissimo? Per sfilarci da un processo riformatore che appartiene anche a noi, anzi che noi chiediamo da sempre, da molto prima della sinistra?».

Eh sì, perché i tempi sono decisivi in questa partita, come gli appuntamenti che li scandiranno. Domani si dovrebbero riunire di nuovo i gruppi parlamentari alla presenza di Berlusconi, ma l’appuntamento resta in bilico.

C’è chi — come Romani, Verdini e Rossi — ritiene che sia meglio evitare un nuovo confronto e chi come Toti pensa invece che possa servire a patto che Berlusconi dia una volta per tutte la linea, con estrema chiarezza. Il rischio infatti è che, se come tutti pensano il voto decisivo slitterà alla prossima settimana, il dissenso mai placato e soprattutto il verdetto su Ruby atteso da venerdì possano scatenare una sorta di «tana libera tutti»: con un Berlusconi «eclissato», arrabbiato e il malumore generale, garantire compattezza sul voto sarebbe difficile.

È però anche vero in giorni così delicati (domani si voterà sull’arresto di Giancarlo Galan e la difesa di Berlusconi terrà la sua arringa), il leader azzurro potrebbe — paventano i suoi — «dire qualcosa di pesante, chissà cosa…». Le incognite sul percorso delle riforme restano.