Re Giorgio che può tutto. Usa la Carta come gli pare

di Vittorio Pezzuto

Da “più bella del mondo” (come è stata definita in tv dal giullare di Stato Roberto Benigni) a “bella di Torriglia”, quella che – come recita il proverbio popolare – “tutti la vogliono ma nessuno se la piglia”. Neanche per sfogliarla. La Costituzione italiana, perché di essa stiamo parlando, è senz’altro il testo più citato e al tempo stesso meno letto. Disconosciuta dalla maggior parte dei parlamentari (e per sospettarlo non occorrevano i divertenti siparietti de “Le iene” davanti a Montecitorio), ha ormai abdicato a favore della Costituzione materiale: un coacervo di interpretazioni, forzature e chiacchiere che da anni si sono sedimentate una sull’altra disegnando sui giornali e nella percezione degli italiani un’eccentrica mappatura dei poteri.
Si fa ormai davvero fatica a individuare chi consideri apertamente una stramberia da matita rossa che questo governo di emergenza dedichi le sue energie inciuciste molto più a materie di strettissima competenza parlamentare (su tutte la riforma elettorale e la ridefinizione dei meccanismi di finanziamento ai partiti) che non a provvedimenti economici che ci trascinino fuori dalle insidiose, esiziali sabbie mobili della recessione. E soprattutto (Beppe Grillo a parte) non si trova chi sia disposto a sfidare apertamente il capo dello Stato, magari evocando nei suoi confronti un’azione di empecheament per aver oltrepassato i già larghi perimetri del potere assegnatogli dalla Costituzione.
È pur vero che in politica i vuoti vengono comunque riempiti, ma questo non giustifica il mancato rispetto della regola scritta. Quest’ultima ha infatti senso e ruolo solo se vive e viene difesa nei momenti di emergenza. Nella consueta cornice di applausi servili e di tanti frettolosi chinar del capo, al presidente Napolitano viene invece consentito quello che mai sarebbe stato perdonato a un Francesco Cossiga qualunque: imporre la fallimentare esperienza del governo dei tecnici, fissare la data di scadenza di un esecutivo, far trapelare il mancato gradimento a ipotesi di riforma costituzionale, sferzare governo e Parlamento su questioni prettamente politiche e quindi per definizione estranee al suo ruolo di arbitro super partes. E siamo talmente assuefatti a un siffatto contesto da accettare quasi grati le sue severe ramanzine davanti alle telecamere (in oltre sette anni Napolitano non si è mai avvalso dell’unico strumento di comunicazione che la Costituzione gli mette a disposizione: l’invio di un messaggio scritto alle Camere).

L’elastico di Calamandrei
L’unico studioso ad aver tracciato una minuziosa analisi di questa deriva è Davide Giacalone, autore del rigoroso “L’uomo del colle”, volume uscito in silenzio per i tipi di Boroli (guarda caso un editore piccolo e poco distribuito) e adesso disponibile tra gli e-book di Libero col titolo “La guerra del Colle”. A La Notizia ricorda come, «subito dopo l’emanazione della Costituzione, Pietro Calamandrei fu il primo a dire che nella nostra carta i poteri del presidente della Repubblica fossero indefiniti e pertanto elastici. Dal punto di vista della frequenza, dell’importanza e anche della lunghezza degli interventi l’escalation partita fin dall’epoca di Sandro Pertini non si è mai fermata e Giorgio Napolitano batte tutti i suoi predecessori. Ciò si deve anche naturalmente alla contemporanea implosione dei partiti e dei leader politici. Da ultimo il presidente è intervenuto non solo sull’opportunità di modificare la Costituzione ma anche sul come farlo. E se è vero che la nascita del governo Letta è caratterizzata dall’incapacità delle tre maggiori forze politiche di chiudere autonomamente un necessario e inevitabile accordo tra di loro, è anche vero che è inedito il ruolo del Quirinale che fissa non solo i contenuti ma anche i tempi dell’azione governativa. L’elastico di Calamandrei sembra essere giunto alla sua massima estensione. Forse già oltre i perimetri della Costituzione vigente».
Per questo sorprendono gli aspetti surreali del dibattito sulla possibile evoluzione presidenzialista del nostro sistema: tutto indica come questo passaggio sia già avvenuto. Solo chi ha smarrito ogni contatto con la realtà – ad esempio Pier Luigi Bersani o quel che politicamente ne rimane – può ancora spendersi contro la logica dell’“uomo solo al comando”. Alzi lo sguardo verso il Quirinale e se ne faccia una ragione.

 

DAL QUIRINALE UNA MORAL SUASION DAVVERO INUSUALE
Il costituzionalista Lanchester: adesso il sistema rischia l’implosione

«L’attività di moral suasion del presidente Napolitano è effettivamente inusuale ma soltanto perché viviamo una situazione eccezionale per definizione». Ne è convinto Fulco Lanchester, ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato all’Università La Sapienza. «È in atto una convergenza post elettorale fra due partiti che si combattono da decenni e che sono alternativi fra loro. E lo stesso governo Letta, nato sotto l’ala del capo dello Stato con un programma di emergenza economica e istituzionale, ha bisogno di un controllo stretto. D’altronde è proprio quello che era stato chiesto allo stesso Napolitano quando gli è stato chiesto di accettare un nuovo settennato. Aldilà delle pecette della normalità, il rischio di un’implosione del sistema rimane infatti costante».

Elasticità
Gli chiediamo se non vi sia però il rischio che la Costituzione materiale soppianti via via quella formale. «Il problema – risponde – è comprendere semmai quanto della Costituzione formale sia mutato nel tempo e interrogarsi se non si sia ormai arrivati al punto di rottura. L’elasticità materiale della Costituzione esiste ma è tale fino a quando questa ritorna nella sua posizione originale. Quando invece il rapporto tra Carta “formale” e “materiale” diventa di deviazione permanente, allora si registrano delle modifiche plastiche. Occorre fare attenzione, perché dopo lo snervamento del materiale si arriva alla sua rottura. Presidenzialismo e semipresidenzialismo sono in realtà formule che rientrano al di qua di questo limite e vengono finalmente affrontate perché i partiti temono che presto si possa oltrepassare il punto di non ritorno».

Una crisi che ricorda Weimar
Lanchester evoca le «affettuose arringhe» che il presidente ha voluto rivolgere al Parlamento in seduta comune e osserva: «Le istituzioni e le forze politiche soffrono problemi evidenti. Siamo di fronte a una situazione weimeriana: sono in crisi tanto il sistema politico quanto i due sottosistemi economico e sociale. Può esserci il pericolo della crisi democratica e questo il capo dello Stato lo sa benissimo».
Ma allora perché dal Quirinale non sono mai stati inviati messaggi scritti alle Camere, così come previsto dall’articolo 87 della Costituzione? «Questa critica è stata ripetutamente portata avanti da Marco Pannella. Da quello che ho compreso, in realtà il capo dello Stato ritiene che nella moderna società della comunicazione uno strumento del genere non verrebbe adeguatamente preso in considerazione. Napolitano lo ha spiegato allo stesso leader radicale quando questi lo sollecitava sull’intollerabile situazione delle carceri: “Marco, se io rivolgessi un messaggio alle Camere sarebbero davvero in pochi a discuterne. Se però alle 20 arriva nelle redazioni un mio comunicato o una mia esternazione, questa raggiunge 60 milioni di italiani”». (Vipez)