Reddito di cittadinanza, ristoratori in guerra con… la paghetta dei genitori

Dopo il Reddito di cittadinanza, ora il nemico è il welfare familiare.

Reddito di cittadinanza, ristoratori in guerra con… la paghetta dei genitori

Il lavoro ha un nuovo nemico: la paghetta dei genitori. Sì, avete capito bene. Perché non è bastato che il Governo Meloni facesse finalmente coriandoli del Reddito di cittadinanza a saziare la fame di personale dei ristoratori. Nonostante per anni si siano dati il cambio, dalla sera alla mattina, in tutti i salotti televisivi per maledire l’odiato sussidio, colpevole di strappare braccia alle loro cucine. Che a quanto pare, malgrado la scure del centrodestra, continuano a rimanere vuote.

Dopo il Reddito di cittadinanza, ora il nemico è il welfare familiare

Sarà mica colpa delle paghe da fame per orari da incubo? No, ma quando mai! Ecco trovato il nuovo insidiosissimo nemico: “Finché i genitori non imparano a far muovere i propri figli dal letto sarà dura, perché è cambiata la cultura del lavoro”, sbotta un ristoratore di Venezia sulle colonne del Gazzettino. Che ha raccolto il grido di dolore della categoria in giro per le cucine più rinomate del capoluogo veneto: “Le tentiamo tutte, i ragazzi preferiscono i soldi dei genitori”, è l’eloquente titolo del reportage.

Anche se, a leggere il pezzo, “mamma Daniela” prova ad azzardare una teoria alternativa sulla tanto disperata quanto vana ricerca di personale da arruolare nei ristoranti: “Non denigrate i ragazzi. Ai miei figli offrono tra i 400 e i 1000 euro per 10-11 ore (di lavoro, ndr) al giorno”. Ma ora viene il bello. Perché se il Welfare familiare è diventato nell’immaginario collettivo dei ristoratori il surrogato del Reddito di cittadinanza, chissà come la prenderanno quando scopriranno, ahi loro, che il sussidio contro il quale hanno sbraitato per anni non è stato neppure abolito.

Già, perché dopo averlo prorogato fino ad agosto, il Governo Meloni si è limitato a sforbiciarlo e a cambiargli nome (in Mia). Con un’operazione di maquillage che alla fine lascerà – se le bozze della riforma dovessero diventare legge – un assegno di 375 euro al mese pure agli occupabili. Sì, proprio loro, quei parassiti fancazzisti e nullafacenti che le destre promettevano di spedire a lavorare a pedate nel sedere.

E ai quali invece continueranno a somministrare, sebbene in dose ridotta, quel “metadone di Stato” (copyright Giorgia Meloni), contro cui tuonava la premier in campagna elettorale rastrellando voti a palate e che aveva il demerito di esercitare una concorrenza spietata alle paghe da fame offerte sul mercato del lavoro da imprenditori senza scrupoli. Poi la Meloni ha vinto le elezioni. E si sono svegliati tutti sudati.