Referendum della discordia. Tre delle nove Regioni che lo hanno proposto ci hanno già ripensato. Ecco i Governatori che hanno cambiato idea

I governatori di Campania, Molise e Sardegna che qualche mese fa hanno sottoscritto il referendum ora non andranno a votare o ci andranno per votare contro

Una partita che più politica non si può. Tanto che il voto sul referendum anti-trivelle si è trasformato in una consultazione pro o contro Matteo Renzi. Il premier è il noto leader del fronte dell’astensionismo con spalla l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo stesso che quando era al Quirinale per i referendum del 2011 diceva “Io, un elettore che fa sempre il suo dovere”. Questione di mancata coerenza o di opportunità politica? Chissà. E, allora, perché non chiederlo anche ai governatori di Campania, Molise e Sardegna che qualche mese fa hanno sottoscritto un referendum che ora non andranno a votare o per cui andranno ad esprimere un parere contrario? Si dà il caso infatti che quello sulle trivelle è il primo referendum della storia d’Italia ad essere stato richiesto dai Consigli regionali. Ne bastano cinque, questo è stato condiviso da nove Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto). Inizialmente erano stati addirittura 10 i Consigli regionali ad aderire all’iniziativa. Salvo poi il ripensamento della regione Abruzzo che, guidata dal renzianissimo Luciano D’Alfonso, si è tirata indietro.


IL FRONTE RENZIANO –
 Il primo governatore della lista anti-referendum è Vincenzo De Luca. Il presidente campano condivide per filo e per segno le parole della coppia Renzi-Napolitano: “Referendum inutile”. Per De Luca, però, evidentemente esistono trivelle e trivelle tanto da essere pronto ad andare allo scontro con il Governo se a qualcuno venisse in mente di toccare le coste della sua amata Campania: “Se qualcuno mi proponesse di fare trivellazioni ad Ischia, nel Cilento o nell’area di Caposele, io farei la guerra”. Tanto meglio per ora salvaguardare il legame con Renzi. Si recheranno invece alle urne i governatori di Sardegna e Molise, Francesco Pigliaru e Paolo di Laura Frattura, ma voteranno “No”. Contestatissima in terra sarda la linea del governatore che prima ha sottoscritto i quesiti (erano sei, ma visto che cinque sono stati recepiti nella legge di Stabilità ne è rimasto uno soltanto) e, poi, dopo una capriola ha affermato: “Tenere aperti gli impianti che esistono oggi nel mare e consentire di andare avanti fino all’esaurimento dei giacimenti credo sia una scelta ragionevole”. Spostandoci al Molise l’ora renziano Frattura afferma: “Mi sento soddisfatto del risultato che abbiamo raggiunto col Governo”. Insomma meglio tenere il piede in due scarpe. Alle urne si recherà anche il presidente della Basilicata, Marcello Pittella: “Sono un renziano, ma andrò a votare. Non posso accettare, però, chi strumentalizza la questione a livello politico”. E allora meglio non esprimersi nel merito della questione.

GLI ANTI-TRIV – Il fronte del “Sì” è guidato, invece, da Michele Emiliano. Il governatore pugliese è da tempo in prima linea. Tanto che molti lo hanno etichettato come il vero anti-Renzi all’interno del Pd. Presidente di regione che fa riferimento all’area della minoranza dem è anche Mario Oliverio. Il presidente della Calabria, da sempre vicino all’ala bersaniana, è tra i sostenitori del “Sì”. Come anche il marchigiano del Pd Luca Ceriscioli: “Nella legge di Stabilità 2016 il Governo ha inserito diverse richieste dei Consigli regionali. Ne manca una. Ecco perché andrò a votare a favore”. A favore del referendum anche i due presidenti di regione del centrodestra Giovanni Toti (Liguria) e Luca Zaia (Veneto). Proprio il governatore veneto è tra i principali sostenitori del “Sì”. E per sostenere le argomentazioni prova a entrare nel dettaglio della questione energetica: “Il gas che si estrae dalle piattaforme oggetto di referendum è l’1% del fabbisogno nazionale, mentre il biometano (che non richiede la devastazione del mare) copre già il 13% di quanto ci serve. E allora”, suggerisce Zaia, “perché non facciamo come la Germania che nel 2030 ricaverà il 50% della sua energia da fonti rinnovabili?”. Ma l’ultima parola spetta agli italiani.