Regionali, altro che sconfitta per il PD. Il primo partito di Governo guida 15 Regioni su 20. Un caso unico

Dopo il voto non cambia un bel nulla. Ieri pomeriggio, mentre la Sinistra Pd, Grillo e Berlusconi cantavano tutti vittoria, Angelino Alfano ha provato ad archiviare la tornata di regionali e amministrative negando alla radice qualunque principio di realtà. Eccome invece se peseranno queste elezioni sul futuro del governo. E del Pd. Partendo proprio dal principio di realtà, va subito detto che vincendo in 5 regioni il partito democratico ha colorato di rosso gran parte del Paese. C’è un problema nord, è vero, un problema di consensi in forte calo rispetto alle europee e un non più rinviabile problema interno al partito stesso. Ma Un Pd che governa e ha i due terzi delle regioni italiane non è all’ultima spiaggia. Il monolite però non c’è più.

ASPETTANDO LANDINI
Il colpo bassissimo degli impresentabili sferrato dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi è andato a segno. E la frattura di civatiani, Sel e Cofferati ha affondato la candidata ligure Paita. Cosa sarà di quest’area in futuro? Avrà la forza di fare una scissione e recuperare Landini, Vendola, D’Alema e Bersani, la Cgil e tutto quello che Renzi ha mandato in pochi mesi in soffitta? Proprio la Liguria, con la vittoria di Toti, ci fornisce l’illusione ottica di un Cavaliere che sta ancora in sella. Ma in realtà Forza Italia è nel punto più basso della sua storia e l’impennata dei voti della Lega fa di Salvini il nuovo azionista di maggioranza del Centrodestra. Con Alfano e l’Area popolare diventati un’entità puramente parlamentare (ormai è evidentissima l’assoluta irrilevanza elettorale) c’è infine il Movimento Cinque Stelle, carico di voti ma assolutamente a secco di bandierine da piazzare sulle giunte regionali. Il modello Cinque Stelle, che non prevede coalizioni di sorta, rischia di lasciare il suo elettorato eternamente privo di amministratori, a meno di difficilissime vittorie solitarie contro tutti. Dunque adesso c’è da capire cosa farà per primo il governo. La parola d’ordine ieri pomeriggio è sembrata quella di minimizzare e archiviare. Il premier aveva staccato una polizza infortuni prima dell’apertura dei seggi dicendo ai quattro venti che queste regionali non erano un referendum su Palazzo Chigi. Le cose però non stanno così e non è negandola realtà – come Alfano – che lo scenario cambia. Anzi!

ROTTURA INEVITABILE
nei momenti più difficili si vede la stoffa dei grandi leader. Matteo Orfini ha annunciato per l’8 giugno una direzione del Pd dove avviare l’analisi del voto. Un’analisi che vede i due governatori di Campania e Puglia sicuramente non renziani ortodossi (chiarissimo il segnare di Emiliano che ha subito offerto un assessorato ai Cinque Stelle – peraltro già respinto) mentre le due candiadate più vicine al premier (Paita e Moretti) sono state letteralmente asfaltate. Renzi dunque potrà ammorbidire le sue posizioni con la sinistra interna la partito, annacquando riforme come quella della scuola, oppure potrà irrigidirsi ancora di più, rinfacciando la slealtà di chi ha remato contro. Cosa sceglierà Renzi? Il suo carattere non lascia molte aspettative rispetto alla posizioen conciliante, tra l’altro capace di durare due minuti. Quindi la frattura formale (dopo quella sostanziale) nel Pd si fa più vicina.