Regioni in guerra tra loro: la nuova autonomia ha un finale già scritto

La nuova Autonomia ha un finale già scritto: su molte materie è certo il contenzioso, tra i rischi maggiori c'è l'energia.

Regioni in guerra tra loro: la nuova autonomia ha un finale già scritto

Prima la secessione, poi la guerra tra regioni. È un finale già scritto quello che si profila con l’approvazione dell’Autonomia regionale differenziata. Insieme a tutti i problemi già evidenziati da fior di costituzionalisti, economisti e dalle forze politiche di opposizione in Parlamento, c’è infatti un aspetto ancora poco evidenziato. Anzi, in realtà tenuto coperto, perché ancor più del dissesto finanziario in cui rischia di cadere gran parte del Sud Italia a causa dell’inaridimento del fondo nazionale di perequazione, il frutto maggiormente velenoso di questa riforma è il conflitto che nascerà tra le regioni, e non solo quelle confinanti.

Autonomia, le 23 materie interessate

Per capirne il motivo basta guardare più a fondo le 23 materie interessate dalla norma, che la Regione Veneto, per esempio, ha già fatto sapere di voler assumere tutte. Si tratta di tutti gli ambiti previsti dalla legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni enumerati dall’art.117 della Carta costituzionale, e tra questi anche i Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, il commercio con l’estero, la tutela e sicurezza del lavoro, l’istruzione, le professioni, la ricerca scientifica e tecnologica, la tutela della salute, la protezione civile, i porti e gli aeroporti civili, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, le casse di risparmio e le aziende di credito a carattere regionale. Poteri che si aggiungono alla sanità e alle politiche attive per il lavoro.

L’interruttore

Così, di fatto, si vengono a creare venti piccoli Stati, largamente autonomi dalle istituzioni centrali ma anche tra di loro. Con casi per cui si vede già il sorgere di contenziosi, ancor prima di partire. Facciamo il caso dell’alta capacità dell’energia, che oggi è trasportata su tutto il territorio nazionale da Terna, una partecipata pubblica solida e in grado di investire rilevanti risorse per la sicurezza e l’efficienza della rete. Dal momento in cui le regioni al confine con la Francia, da dove arriva molta dell’elettricità che serve a tutto il Paese, acquisiranno il ruolo di interruttori autonomi per far passare o meno la corrente, finirà ogni certezza per i cittadini e le imprese del resto della nazione.

Un tema che vale per ogni angolo d’Italia, compresa – sempre per restare agli esempi più rilevanti – la Sicilia, dove proprio Terna sta investendo ingenti risorse anche del Pnrr per la costruzione di una rete di connessione sottomarina con l’Africa. Ora, nel caso in cui queste regioni di primo approdo dell’energia dovessero averne più bisogno, o semplicemente perché entrano in contrasto con altre regioni, anche non limitrofe ma comunque rifornite con la stessa energia, chi può impedire che non chiudano il rubinetto? E se lo faranno, chi li sanzionerà e come? Certo, dai futuri Lep ai tribunali ordinari e amministrativi, fino alla Consulta, ci sono tanti appigli per evitare il peggio, sempre che la norma passi pure al probabile referendum. Ma in un tale quadro di destrutturazione dello Stato ogni decisione futura rischia di essere approvata e cambiata all’infinito. Abbiamo il caos davanti, insomma. E a chi spinge questa riforma non è detto che dispiaccia.