Regole assurde sulla Rai, c’è bisogno di riformare tutto. Parla il neo consigliere di amministrazione Laganà: “Sui vertici nulla da dire ma il metodo di nomina non va”

L'intervista a Riccardo Laganà entrato in Cda a Viale Mazzini per indicazione dei dipendenti Rai, unico tra i consiglieri ad essere stato eletto

E infine il Governo ha trovato la quadra sulle nomine Rai. E come sempre si è scatenata la polemica. Per il vicepremier, Luigi Di Maio con la scelta dell’Esecutivo di puntare su Marcello Foa e Fabrizio Salini inizia una rivoluzione culturale “per liberarci dei parassiti e dei raccomandati”. Immediate le reazioni alla fine di settimane segnate dal gioco pazzo del totonomine, dai vertici a Palazzo Chigi, dalle audizioni segrete, vere o presunte dei singoli candidati. Il Pd minaccia battaglia non solo contro quella che definisce una spartizione tra Lega e Cinque Stelle. Anche per i toni di Di Maio, per cui Antonello Giacomelli chiede una censura da parte della Commissione di Vigilanza e per la presunta incompatibilità di Marcello Foa che sarebbe amministratore di un gruppo concorrente alla Rai sui mercati esteri ma anche in quelle regioni italiane di confine. Martedì il primo Cda per ratificare la nomina del presidente. Ma si poteva evitare tutto questo trambusto? “Occorre prendere atto di quello che è successo e cambiare subito la legge voluta dal Governo Renzi. Perché tre anni passano in fretta: come ‘Move on’ abbiamo presentato una proposta di legge per modificare le regole sulla governance. Basterebbe prendere quella”, dice Riccardo Laganà entrato in Cda a Viale Mazzini per indicazione dei dipendenti dell’azienda del servizio pubblico, unico tra i consiglieri ad essere stato eletto.

Il Governo ha scelto Foa e Salini. Cosa ne pensa?
“Non li conosco. Io contesto il metodo che si è scelto di seguire che non è stato trasparente rispetto all’esigenza di cambiamento che dentro l’azienda è molto avvertita. Per quel che riguarda la procedura seguita nella competizione tra dipendenti per scegliere il loro rappresentante, non solo abbiamo dovuto presentare il nostro curriculum, ma abbiamo anche dovuto raccogliere le firme per proporre la nostra candidatura e abbiamo parlato con chi era chiamato a votare che si è espresso sulla nostra storia personale e sulla nostra visione del servizio pubblico. Per individuare amministratore delegato e presidente si è scelto di fare diversamente, mentre ci si poteva prendere un

po’ di tempo in più per cercare le competenze più idonee per la Rai. Ma, ripeto, la mia critica non è rivolta alle persone nominate, ma al metodo che è già viziato dalla legge e su cui il Governo avrebbe dovuto impegnarsi di più per renderlo almeno più trasparente”.

Anche lei si accoda a chi parla di lottizzazione?
“Rilevo che stiamo affidando l’azienda a persone di cui non sappiamo niente, né della loro storia né della loro idea di progetto industriale per questa azienda. Magari sono i profili migliori, ma allo stato non sappiamo, tanto per fare un esempio, se hanno il pallino della svendita o della privatizzazione della Rai o meno. Per dare l’idea del cambiamento credo si dovesse fare uno sforzo in più: un bando di concorso e l’audizione dei candidati in modo che la scelta si fondasse su cosa hanno in mente per il futuro della Rai. Il metodo adottato non consente di sapere nulla delle cose che sono fondamentali. Anche l’idea di affidare le preselezioni ad una società di cacciatori di teste, come ha raccontato qualche giornale, non mi sembra adeguato all’azienda, che essendo un servizio pubblico deve perseguire l’interesse pubblico”.

Ma la richiesta dei curriculum non è una novità?

“Registro solo analogie rispetto al passato. E ne sono abbastanza deluso”.

Che aria si respira tra i dipendenti Rai?
“In azienda c’è grande aspettativa, anche perché ci sono risorse interne schiacciate e compresse dalla precedente amministrazione”.