Ora sì che Renzi ha rottamato D’Alema e Bersani

Con 130 voti a favore (86% dei consensi), 11 astenuti, 20 contrari (tra cui Bersani e D’Alema), la direzione del Pd ha approvato l’ordine del giorno sulla riforma del lavoro del governo Renzi. Il documento prevede l’impegno a sostenere il governo nella messa in campo di “strumenti” per i seguenti obiettivi: una rete più estesa di ammortizzatori sociali ai precari; una riduzione delle forme contrattuali a partire dai Co.co.pro, favorendo il lavoro a tutele crescenti; nuovi servizi per l’impiego; una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca il procedimento giudiziario con indennizzo e non col reintegro. Il reintegro resta per il licenziamento discriminatorio, ma ora viene contemplato anche per quello disciplinare (e questa è stata l’apertura fatta dal premier in direzione).

“Vi propongo di votare con chiarezza al termine del dibattito un documento – ha aperto il premier Renzi il direttivo del Pd – che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”. Renzi chiede dunque una posizione chiara su “una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”.

“Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora – continua Renzi – La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta”. “Siamo l’unico partito -sottolinea – che discute al proprio interno con una certa animosità, ma questo non può fare venire meno il reciproco rispetto. Chi non la pensa come la segreteria non la pensa come i Flintstones. Chi la pensa come la segreteria non è emulo di Margaret Thatcher”.

E aggiunge: “Le mediazioni vanno bene, il compromesso va bene, ma non si fanno a tutti i costi i compromessi. Non siamo un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all’esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta”.

ARTICOLO 18

«Se fosse l’articolo 18 il punto di riferimento sul lavoro della Costituzione mi spiegate perché per 44 anni abbiamo accettato la differenza tra imprese con più e meno di 15 dipendenti?» sottolinea Renzi. «Io credo che vada superato l’attuale sistema del reintegro, lasciando quello per motivi discriminatori e disciplinari» spiega ancora Renzi.
«Se vogliamo dare diritti ai lavoratori, non lo facciamo difendendo una battaglia che non ha più ragione di essere» continua Renzi. «La sinistra deve essere laddove c’è il cambiamento: non lascio ad altri l’esclusiva della parola sinistra. È di sinistra questa riforma se serve a difendere i lavoratori, il futuro e non il passato, tutti e non qualcuno che è già garantito. Se la sinistra a difendere il cambiamento e non la conservazione. I sindacati italiani: sono disponibile a riaprire la sala verde di palazzo Chigi, a confrontarmi la settimana prossima. Con Cgil, Cisl e Uil. Li sfido su tre punti: una legge della rappresentanza sindacale, salario minimo, il collegamento con la contrattazione di secondo livello» precisa Renzi.
Il governo lavora perché «il Tfr possa essere inserito dal primo gennaio 2015 nelle buste paga, attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo per consentire un ulteriore scatto del potere di acquisto. Inoltre la riduzione del costo del lavoro proseguirà anche nell’anno solare 2015» aggiunge il premier e segretario del Pd.

L’OPPOSIZIONE

La minoranza del Pd potrebbe astenersi nel voto sul jobs act. Lo si apprende da fonti della minoranza. Dipenderà – spiegano- dall’apertura di Renzi a possibili correttivi. Critiche sono arrivate a Renzi dall’ex premier Massimo D’Alema :«Sono un ammiratore dell’oratoria del segretario del partito, ma il fascino dell’oratoria qualche volta non riesce a far si che ci sia attinenza di una parte delle osservazioni alla realtà. Il dibattito politico deve mantenere un forte aggancio alla realtà. Penso con sincero apprezzamento per l’oratoria che quello del presidente del Consiglio è un impianto di governo destinato a produrre scarsissimi effetti e questo comincia ad essere percepito nella parte più qualificata dell’opinione pubblica. Meno slogan, meno spot e un’azione di governo più riflettuta credo possa essere la via per ottenere maggiori risultati».