Renzi-Cav verso l’accordo bis per le riforme

di  Lapo Mazzei

La cosa che maggiormente affligge Silvio Berlusconi è quella di essere messo da parte. Un eventuale accordo a tre, ammesso e non concesso che ne ricorrano le condizioni, fra Renzi, Grillo e Lega, proprio quando incombe la spada di Damocle del processo Ruby in secondo grado (“questa volta scattano le manette”, dice sconsolato il Cavaliere a chi riesce ancora a parlargli) induce Silvio a lanciare segnali più che concilianti al premier. Tanto che, viene spiegato dalle parti di Forza Italia, l’ordine di scuderia dettato agli azzurri è di chiudere l’intesa sull’elezione dei senatori. Non solo. Il leader azzurro, nella conferenza stampa di ieri mattina alla Camera (dove ha rimesso piede dopo circa 4 mesi, confessando che non gli è affatto mancata), ha evitato di usare toni forti o ultimativi. Al punto che il messaggio in bottiglia inviato a Renzi è quasi da alleato: le riforme le facciamo insieme, “sono certo che l’accordo si farà”. E poco importa se l’atteso nuovo faccia a faccia con il presidente del Consiglio, nonostante la voglia del sire di Arcore, non ci sarà, dato che si vedranno il ministro Maria Elena Boschi e il presidente dei senatori di Forza Italia, Paolo Romani. L’importante,adesso, per Berlusconi è restare in campo da coprotagonista delle riforme e non ricadere nel cono d’ombra.

Accordi e riforme
L’ex premier si guarda bene dal legare a doppio filo l’accordo finale con Renzi sul Senato alla campagna pro elezione diretta del capo dello Stato, lanciata in pompa magna ma che non è in alcun modo una conditio sine qua non per ottenere l’appoggio di Forza Italia sulle riforme costituzionali. E se il messaggio non fosse chiaro, ci pensa Berlusconi stesso a ribadire, più e più volte, che il suo partito “mantiene gli impegni”. Ne consegue, che Renzi può benissimo fare a meno di Grillo. Anzi, il premier – è il consiglio implicito contenuto nelle parole del Cav, ma che per diversi azzurri è stato anche fatto recapitare direttamente a palazzo Chigi – non si lasci attrarre dalle sirene dell’ex comico genovese, perché “Grillo fa solo paura, non pensiamo possa portare avanti nessun progetto serio”. Insomma, l’elezione diretta del capo dello Stato è più una sorta di escamotage per tornare sotto i riflettori e ricompattare il partito – fortemente in ebollizione, soprattutto al Senato, sul capitolo riforme ma anche per le divisioni sulla linea da tenere nei confronti del governo e sulla ripartenza di Forza Italia – che una vera e propria battaglia sulla quale spendere soldi ed energie.

La questione del presidenzialismo
A tarda serata a gelare gli ardenti bollori degli azzurri, per giunta sulla sigla dei titoli di testa dei telegiornali, arriva il diktat di Renzi: “Ora bisogna completare il percorso su cui c’è l’accordo. Aprire la questione del presidenzialismo è inopportuno”. Con tutti gli uomini del presidente pronti a rilanciare il pensiero del capo alle agenzie, “siamo a un passo dalla chiusura, inutile infilarci in un dibattito sul presidenzialismo”, in modo da gelare Berlusconi. Dibattito inutile, dunque, ma soprattutto troppo rischioso dato che, sostiene Renzi, “siamo a un passo dalla chiusura dell’accordo sulle riforme costituzionali”. Ad ogni buon conto Berlusconi ha annunciato di voler iniziare “una campagna di mobilitazione che coinvolga milioni di persone e per questo motivo depositeremo in Cassazione le iniziative referendarie e poi raccoglieremo le firme”. E poi in tono ancora conciliante rivela: “Ho avuto modo di accennare a Renzi in due occasioni del presidenzialismo e lui non l’ha escluso, ma ha detto: forse, non è il momento adesso”. I fatti hanno confermato il racconto. Solo un affondo polemico sulla legge elettorale: “Da quando è nato il governo Renzi continua ad annunciare di voler fare le riforme, siamo però ancora ai preliminari” e in particolare “la legge elettorale che doveva essere approvata entro il 25 maggio, si è insabbiata”. Rispetto al ruolo dei 5 Stelle in questa fase di ridefinizione delle posizioni rispetto a riforme e legge elettorale, Berlusconi vuole mettere all’angolo Grillo e sentenzia: “Grillo ci fa paura e basta, non credo possa portare avanti un progetto serio”. Infine l’ennesimo affondo nei confronti del presidente della Repubblica: “Abbiamo un capo dello Stato che è passato al di là della sua funzione prevista dalla Costituzione”, un passaggio “che è diventato fisiologico, anzi patologico per noi. Il problema è che oggi il presidente della Repubblica non ha una legittimazione popolare per svolgere il proprio mandato”.