Renzi convoca la direzione e rifila un altro schiaffone alla minoranza del Pd. Il premier disposto a discutere solo di legge elettorale

L’ennesimo capitolo degli interminabili bisticci tra il presidente del consiglio, Matteo Renzi, e la minoranza del Pd. Ieri il premier ha deciso di convocare il “conclave” dei Democratici. Ma ha risposto picche sulla scelta dei contenuti: al massimo si può parlare di legge elettorale, non certo del ddl costituzionale, sul quale il governo non ammette più modifiche. Era stato il piddino Alfredo D’Attorre, esponente della minoranza, ad annunciare l’invio di una lettera destinata a Renzi per proporgli un “confronto costruttivo” sulle riforme. Con l’idea di formare “un gruppo ristretto di lavoro tra i parlamentari Pd per definire alcune modifiche ai testi. Con l’impegno, una volta trovato l’accordo, a non fare più nessuna modifica nei passaggi successivi, con garanzia su numeri e tempi di esame”.

LA REPLICA
Ma Renzi ha sparigliato di nuovo le carte. Un accordo “non scritto” tra le due componenti del Pd prevedeva infatti che il voto sulla legge elettorale slittasse a dopo le elezioni di maggio. Lo slittamento del voto sull’Italicum era visto come un segnale di disponibilità da parte del premier. Ma ora la convocazione della direzione, con un solo punto all’ordine del giorno peraltro, riporta indietro le lancette. Un voto in direzione sulla legge elettorale ha il significato, spiegavano ieri dalla minoranza, “di un prendere o lasciare” l’Italicum. “Voglio sperare che Renzi quantomeno venga in direzione con la proposta di una serie di modifiche alla legge elettorale”, ha detto ieri un altro dissidente del Pd, Pippo Civati.

SCHERMAGLIE
Il quale ha aggiunto che se il presidente del consiglio non lo farà “ci troveremo a votare quella legge nel pieno della campagna elettorale. Poi non venga a dirci che vogliamo le divisioni”. Giornata incolore, invece, per quanto riguarda la successione di Maurizio Lupi al ministero delle Infrastrutture. Alla fine l’interim di Renzi sarà più lungo del previsto, anche se l’ipotesi del mini-rimpasto è ancora tutta in piedi. Con il premier che potrebbe voler coinvolgere nel governo un esponente “critico” dell’area riformista del Pd come Roberto Speranza.