Renzi da Conte col solito copione. Per un’altra mezz’ora di passerella. Iv chiede di azzerare il progetto sul Recovery Fund. E torna a battere sulla necessità di attivare il Mes

Un incontro brevissimo. Il più breve certamente tra quelli che il premier ha condotto fra tutti i partiti di maggioranza nell’ambito della verifica di governo. L’atteso faccia a faccia tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi si consuma nell’arco di 30 minuti appena. Prende tempo il premier – dopo l’incontro “franco e cordiale” secondo fonti di Palazzo Chigi – e si riserva di rispondere alle sollecitazioni che gli sono arrivate, tramite lettera, da Italia viva la notte prima dell’incontro. La delegazione renziana è composta dall’ex premier, le ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti, il presidente Ettore Rosato e i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone.

Al termine è Bellanova che parla: “Abbiamo rappresentato al premier le nostre argomentazioni, ora aspettiamo che faccia una riflessione per vedere se ci sono le condizioni per andare avanti. Domani (oggi, ndr) saremo in Cdm e continueremo a dare il nostro contributo in Parlamento, a partire dalla manovra”. E ancora: “Conte ci ha detto che il nostro è un documento importante e costruttivo. Aspettiamo le sue riflessioni”. Tempi? “Per noi non sono lunghi”. Renzi avrebbe chiesto una risposta entro gli inizi di gennaio. Nel corso del faccia a faccia col premier la Bellanova sarebbe andata giù dura: “Non siamo noi l’anomalia, ma un premier che ha guidato governi di colori politici opposti”.

Ma che avrà scritto mai Renzi in questa lettera? Nessuna novità in realtà ma solo un ulteriore stratagemma (dopo quello escogitato per far slittare il confronto da martedì a giovedì) per far crescere la tensione alla vigilia del faccia a faccia. Renzi pubblica la missiva sui social perché sia chiaro che lui parla di “cose serie” e “non di poltrone”: “Non ci basta uno strapuntino, vogliamo la politica”. E ribadisce la sua minaccia: “Teresa, Elena, Ivan sono ponti a dimettersi domani se serve”, riferendosi alle ministre Bellanova e Bonetti e al sottosegretario Scalfarotto. Rilancia sulla necessità di azzerare il progetto originario del premier sul Recovery, parla di sostenibilità ambientale e di sfide geopolitiche.

Di infrastrutture (il famoso piano shock), di digitale, di scuola, di riforme (dalla preferenza per il maggioritario al superamento del titolo V della Costituzione), di Terzo settore e lavoro (ancora una volta critica il reddito di cittadinanza e quota 100). Ma soprattutto affonda il colpo su due campi insidiosi e scivolosi per il premier: Mes e delega sui servizi segreti. “Questo rifiuto ideologico del Mes mi appare ogni giorno più incomprensibile”, dice. E sull’altro fronte dichiara: “L’intelligence appartiene a tutti, non è la struttura privata di qualcuno: per questo ti chiediamo di indicare un nome autorevole per gestire questo settore. Non puoi lavorare con te stesso anche in questo settore”.

Ma casca male l’avvertimento proprio nel giorno in cui Conte riesce a riportare a casa i 18 pescatori fermati in Libia. Il prossimo passo dopo questo faccia a faccia potrebbe essere un vertice con tutti i leader della coalizione. Un canale di dialogo è aperto ma le tensioni rimangono tutte. Il premier è disposto a trattare (infrastrutture, Recovery) ma ha già fatto sapere che per esempio sul Mes non sono accettabili aut aut. Sono ampiamente note le resistenze del M5S. Ma il leader di Rignano non accetta chiusure pregiudiziali. L’incontro è breve perché, nell’ottica dei renziani, quello che dovevano dire lo hanno già messo nero su bianco.

Ora la palla passa al premier: sarà lui che dovrà rispondere alle loro richieste. Non si parla di rimpasto ma il tema c’è. Anche il premier l’altro giorno ha aperto alla possibilità. Renzi nella lettera evoca ancora una volta Mario Draghi. Ma dal Pd ancora una volta è Andrea Orlando ad avvertire: se si apre la crisi al buio non si chiude con un nuovo governo ma col voto.