In tanti vogliono farlo cadere. Ma oggi Renzi non ha rivali. Opposizioni contro per il suo atto di forza. Al premier però non preoccupa neanche l’ipotesi elezioni

No, questa non è una guerra combattuta con armi convenzionali. E soprattutto non esiste un fronte definito, con trincee e postazioni avanzate. Ciò che si va dipanando, giorno dopo giorno, sotto il cielo della politica di casa nostra è un conflitto senza esclusione di colpi, basato sulla semplice sulla logica, perversa per qualcuno normale per altri, del potere per il potere. E come in Highlander alla fine ne resterà uno solo. E quell’uomo, con tutta probabilità, è Matteo Renzi, ovvero l’attuale presidente del Consiglio. Perché nella situazione attuale, che vinca o perda lo scontro sul Senato e sul pacchetto delle Riforme, sarà sempre lui, l’inquilino di Palazzo Chigi, a prevalere. Anche se dovessimo andare al voto anticipato. Ciò che in passato veniva considerato il male assoluto per chi era al governo, ovvero la prova delle urne, per l’attuale premier è soltanto un fastidioso accessorio nel caso in cui minoranza dem e opposizioni varie dovessero prevalere. Con il vento in poppa, come testimoniano i sondaggi, i problemi di Matteo non sono la barca o la rotta, ma la costruzione ulteriore del consenso. Andare al voto, per quanto paradossale, significherebbe mettere in mano a Renzi l’arma finale, con la quale annullare opposizioni interne e opposizioni esterne, spianando la strada ad governo sostenuto da una maggioranza bulgara. L’unico elemento che impedisce a Renzi di accelerare questa soluzione è il difficile rapporto con l’Europa. Andare alle urne rischia di far saltare i conti, mettendo la troika nella condizione di dettare le condizioni. Ed è quello che teme Renzi, le briglie sul collo. Meglio un Vietnam parlamentare costante, con una guerra a bassa intensità, che un Parlamento calmo e placido ma eterodiretto da Parigi e Berlino. L’attuale capo del governo non è un giocatore di poker, ma un lupo di Wall street. “La Leopolda del 2011 mi ha fatto capire che questo Paese era scalabile, so che questo termine creerà polemiche ma lo dico: per anni ci hanno raccontato che l’Italia era un Paese chiuso, eppure giorno dopo giorno ci rendevamo conto che si potevano cambiare le cose sul serio”. Era il 24 ottobre del 2014 quando Renzi, aprendo i lavori della Leopolda a Firenze pronunciò queste parole. Troppo spesso la memoria resetta se stessa in fretta, quasi fosse pervasa da una voglia matta di incamerare altro. Invece certe frasi andrebbero tenute a mente come parole scolpite sulla pietra. Paese scalabile. Renzi non governa, amministra. Matteo non gestisce la cosa pubblica, tiene in mano le cose del pubblico con le regole del privato. Come nemmeno Berlusconi aveva sognato. Non siamo più un Paese, ma un’impresa, e non abbiamo più un governo ma un consiglio di amministrazione. Sarà un caso ma in quella stessa Leopolda Renzi ricorda la sconfitta del 2012: “Per me è stata una bellissima lezione”. Bellissima perché, secondo la sua visione, irripetibile. Oggi può solo vincere, perché non solo non esiste l’antirenzismo ma soprattutto non c’è l’antirenzi. Chissà se Francesco De Gregori avrà ancora voglia di cantare Viva L’Italia