Caccia… alla riforma. Cinquantacinque sigle ambientaliste e animaliste firmano una lettera urgente al Quirinale. L’accusa è netta: il governo e la sua maggioranza starebbero tentando di introdurre nella legge di Bilancio gli stralci del disegno di legge AS 1552, la proposta che allenta i vincoli della 157/1992 sulla tutela della fauna e l’attività venatoria. L’operazione, definita «clamorosa e gravissima», sposterebbe la discussione dalla sede naturale del Parlamento a un veicolo finanziario, comprimendo il confronto pubblico e i passaggi istruttori.
Nel merito, gli emendamenti puntano a legalizzare la caccia durante la migrazione preriproduttiva e a riaprire la cattura dei piccoli uccelli selvatici per l’uso come richiami vivi. È il nervo scoperto della normativa europea: la Direttiva Uccelli tutela in modo rafforzato i periodi migratori e consente deroghe solo se motivate, proporzionate e selettive. Su questi punti l’Italia ha già conosciuto procedure d’infrazione e condanne della Corte di giustizia. Tornarci sopra significherebbe riproporre il medesimo contenzioso, con danni di immagine e costi potenziali per l’erario.
55 associazioni chiedono a Mattarella di intervenire sulla riforma della caccia
La mobilitazione è ampia e trasversale. Fra i firmatari compaiono WWF, Greenpeace, LAV, ENPA, Lipu, Pro Natura, Marevivo, Oipa, Mountain Wilderness, Rewilding Apennines, ISDE e molte realtà scientifiche e civiche. Un fronte che non si limita a rivendicare la protezione della fauna: chiede trasparenza delle regole, responsabilità istituzionale, coerenza con gli impegni europei. In controluce c’è l’idea di Paese che si vuole riconoscere nella riforma: se un principio delicato come la tutela della biodiversità può essere ritoccato a colpi di emendamenti nella manovra, nessun argine appare davvero solido.
Il precedente pesa. Nella manovra 2023, la stessa maggioranza inserì modifiche alla disciplina venatoria: da lì partì la procedura di infrazione INFR(2023)2187. Le associazioni lo ricordano per marcare il punto: non si tratta di un dibattito ideologico ma di un fascicolo già aperto a Bruxelles. E se la nuova forzatura includesse periodi e pratiche vietati, l’Italia si presenterebbe con un’aggravante.
Sul terreno sociale la scena è più sfumata. Il mondo agricolo denuncia danni crescenti da fauna, in particolare dai cinghiali, e chiede interventi rapidi. I cacciatori reclamano «gestione» contro «proibizionismo». Ma la lettera non nega il problema: contesta che lo si affronti con scorciatoie e riaperture generalizzate su specie migratrici protette, invece che con strumenti mirati e dentro cornici legali stabili. È la differenza tra intervenire e sdoganare.
La forma delle leggi e il ruolo del Colle
L’altro nodo è il metodo. Le associazioni parlano di «espediente» per l’approvazione, perché la legge di Bilancio, per definizione, dovrebbe trattare materie economico-finanziarie. L’inserimento di norme venatorie non connesse alla manovra espone a un giudizio di estraneità di materia e, più in generale, altera l’equilibrio tra governo e Parlamento. Non è un sofisma regolamentare: la forma è contenuto quando disegna il perimetro della decisione pubblica.
Il richiamo alla Costituzione è esplicito. Con la riforma del 2022, l’articolo 9 ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi fra i principi fondamentali. Significa che il legislatore deve misurare ogni intervento con un livello di scrupolo più alto, non abbassarlo per via amministrativa. Qui la controversia assume un profilo istituzionale: non si discute solo se e quanto si possa cacciare, ma se il governo possa usare il bilancio per riscrivere, a latere, pezzi di una legge di sistema.
Alla fine la palla arriva al Quirinale. Gli estensori della lettera chiedono a Sergio Mattarella di esercitare il ruolo di garante: «fare quanto in suo potere per dissuadere» la maggioranza dal procedere. È un invito a fermare una deriva, prima che si traduca in norme approvate all’ultimo comma dell’ultima notte. Se la politica scegliesse comunque la via breve, resterebbero gli strumenti di controllo successivi: l’ammissibilità degli emendamenti, il vaglio di costituzionalità, il contenzioso europeo. Ma sarebbe già un arretramento della qualità democratica.