Riforme, nei dem è guerra di trincea. I numeri ci sono ma il premier vuole convincere i frondisti

Più che un iter parlamentare, quello delle Riforme al Senato è sempre più una partita a scacchi. O, a giudicare dalla giornata di ieri, una vera guerra di trincea: ognuno fermo nelle sue posizioni pronto a sparare ad alzo zero sull’avversario. Con Matteo Renzi che ribadisce l’intoccabilità dell’articolo 2, mentre Pietro Grasso sostiene che le istituzioni non sono un museo, con la minoranza dem che si trincera dietro gli emendamenti e l’opposizione che promette battaglia. Uno scenario complesso, una partita intricata, un quadro opaco. Eppure, tra i dirigenti del Pd, ieri circolavano parole ultimative: “La partita è chiusa”. Un ottimismo dettato dagli esiti del lavorio di questi giorni su uno schema diverso da ciò che appare sotto gli occhi di tutti, finalizzato a una intesa complessa, che si va componendo di ora in ora seguendo le indicazioni dello stesso Renzi per approvare quelle Riforme che il Paese “aspetta da 70 anni”, come ha detto ieri lo stesso premier, infilando una battuta infelice. 70 anni la Costituzione fu scritta dai padri costituenti, difficile pensare che gli italiani chiedessero già la riforma. Gaffe epocale a parte, il punto di partenza sono i voti a favore del Ddl Boschi al Senato. Uno “spread” che mette il governo in tranquillità. Anche ieri la maggioranza a palazzo Madama ha avuto 179 voti (più 93 sulle opposizioni). Il “pallottoliere” di palazzo Chigi è al sicuro, o almeno cosi pensato i piccoli alchimisti renziani. Ma nello schema del premier questo non può bastare, perché Renzi ha intenzione di lavorare per tenere dentro la partita anche i dissidenti dem, di “portarli a bordo”. O gran parte di loro.  Per questa ragione dalle parti di largo del Nazareno ieri si affrettavano a smentire il Senato-Museo (“è un paradosso”), dopo che palazzo Chigi aveva parlato di “frasi volgari e assurde”. Quindi, l’altro pezzo del puzzle si andrà componendo lunedì in Direzione. Il segretario, spiegano fonti parlamentari dem, parlerà del Paese, della ripresa, dei numeri finalmente positivi, della legge di stabilità. Poi, arrivati alle riforme, dovrebbe sottolineare che per raggiungere questo obiettivo indispensabile serve una posizione chiara e che l’unità del partito non è secondaria. E li capiremo tutto.  A  completare il quadro c’è la posizione e delle opposizioni, sempre più  tra l’incudine e il martello. Perché è cosi che si sente Silvio Berlusconi, stretto tra la conferma del “no” alle Riforme costituzionali, per non tradire l’alleanza con Matteo Salvini e non lasciare praterie di manovra al leader leghista, e il timore che la situazione al Senato possa precipitare, con elezioni anticipate che, sondaggi alla mano, rappresenterebbero la debacle per Forza Italia, data nei sondaggi più ottimistici non oltre l’11%. Per di più, con il voto anticipato Berlusconi perderebbe anche le ultime speranze di ricandidatura, mentre nel 2018 il leader azzurro spera di poter ambire ad un seggio in Parlamento. E poi ci sono poi da blindare le alleanze e le candidature per le comunali del 2016, Milano e Bologna in primis, e l’ex premier non può rischiare di vedersi voltare le spalle da Salvini. Ad aggravare l’umore del Cavaliere, poi, le voci su un partito sempre più allo sbando e un gruppo, a palazzo Madama, in fibrillazione costante, con rumors ricorrenti su prossimi addii.  Perché se Renzi vince comunque Berlusconi, ora, può solo perdere.