Riforme, Renzi si aggiudica il primo round sul Senato. Via libera all’articolo 1. Ma ora comincia la battaglia sul discusso articolo 2

L’articolo 1 della riforma costituzionale che modifica il Senato è passato. E già questo è un fatto non secondario. Ma è il dettaglio che ha reso possibile il superamento dell’ostacolo che rende il fatto un atto fondamentale per il cammino della riforma e la tenuta della maggioranza. Protagonista di questo primo traguardo raggiunto è Roberto Cociancich, autore dell’emendamento che, riscrivendo l’articolo 1 del ddl Boschi, è riuscito a spazzare via tutti gli emendamenti dichiarati ammissibili dal presidente del Senato, Pietro, Grasso e a mettere a riparo la maggioranza dal segreto dell’urna.

In buona sostanza la norma tanto contestata era identica al testo dell’emendamento della maggioranza e di altre norme a firma dell’opposizione. Un concetto che esprimeva quindi un accordo quasi bipartisan su come e quali funzioni del Senato andavano ripristinate dopo le modifiche restrittive del passaggio alla Camera. Ma l’emendamento Finocchiaro dietro di sé portava troppe insidie, tra cui appunto la possibilità di sgambetti o incidenti da parte di franchi tiratori con i 19 voti segreti. E, soprattutto, non avrebbe risolto il problema della mole di emendamenti comunque in discussione, benché Grasso avesse già dichiarato “irricevibili” i 72 milioni di Roberto Calderoli. Con la norma Cociancich è stato invece scovato il “piano perfetto”: l’articolo 1 è stato approvato con 172 sì, 108 no e 3 astenuti. Compatta la maggioranza a cui sono comunque andati in soccorso il gruppo verdiniano di Ala e anche Gal, qualche ex M5S (Luis Alberto Orellana e Alessandra Bencini; Lorenzo Battista; Maurizio Romani) e Manuela Repetti e Sandro Bondi del Misto. Unica nota dolente, per il Nazareno, i tre dissidenti, Walter Tocci, Corradino Mineo e Felice Casson, che hanno votato in dissenso dal gruppo Pd al Senato, per la terza volta. Tocci ha confermato il suo no palese alla riforma, mentre Mineo e Casson si sono astenuti, voto che a Palazzo Madama vale come un contrario. Al di là dei distinguo, però, questo primo passaggio ha dimostrato che il governo guidato da Matteo Renzi è tecnicamente in grado di superare le colonne d’Ercole della prova dell’Aula, in modo da puntare dritto al referendum confermativo, programmato per la prossima primavera, essendo questo il vero obiettivo del premier.

Certo, come in tutti gli slalomisti che si rispettino la maggioranza userà, ed ha già usato, tutti i mezzi a propria disposizione, rasentando anche i mezzi non propriamente leciti. Ma questa è la linea politica di Renzi, che subordina al proprio fine i mezzi da usare. Non a caso il primo articolo non è stato approvato senza polemiche e, soprattutto, senza proteste. Ad alzare la voce per prima la Lega Nord con Roberto Calderoli, che a inizio seduta ha chiesto la verifica della firma autografa di Roberto Cociancich. “Io voglio sapere”, ha spiegato il leghista, “chi ce lo ha portato e voglio vedere se la firma è a prova di perizia calligrafica”. Richiesta negata dalla presidenza. Pietro Grasso ha spiegato che “fino a prova contraria, ovvero fino a che il firmatario stesso non disconosca la propria firma”. La risposta non è affatto piaciuta all’Aula, con le opposizioni che hanno chiesto in coro che fosse lo stesso autore dell’emendamento a illustrare il testo, a conferma che la firma sia la sua. Silenzio dai banchi del Pd dell’ex capo scout di Matteo Renzi.

La bagarre in Aula, però, è scattata quando Lucio Barani ha dichiarato che il suo gruppo avrebbe l’articolo 1 benché sia all’opposizione. E’ allora che la Lega Nord ha iniziato a sventolare banconote rivolgendosi ai banchi dove siedono i senatori verdiniani. Immediata la risposta del capogruppo Barani: “Contrariamente a quanto volgarmente sostenuto dai senatori della Lega Nord nei miei confronti, io un lavoro ce l’ho ed è anche ben remunerato. Li invito, pertanto, a tenersi ben strette le banconote che hanno sventolato nell’Aula del Senato, perché in futuro quei soldi serviranno certamente più a loro che a me”. L’altro show è andato in scena ad opera del Movimento 5 Stelle che ad approvazione avvenuta dell’articolo 1 hanno messo sui banchi una foto della ministra Boschi con scritto “Bella ciao”. “La democrazia è finita” ha affermato Vito Crimi. Archiviato l’articolo 1, l’Aula ha iniziato ad affrontare il nodo cruciale dell’articolo 2. Ieri l’altro il presidente Grasso ha sciolto la riserva chiarendo che “all’articolo 2 sono state apportate modificazioni al solo comma 5”, dichiarando “ammissibili soltanto emendamenti soppressivi o modificativi di tale comma”. In sintesi la parte sull’elezione diretta dei futuri senatori non potrà essere toccata. Anche così, però, lo spettro del voto segreto dovrebbe palesarsi in sei scrutini. E nel buio dell’urna le sorprese possono anche capitare.