Riforme

di Gaetano Pedullà

Quelle di Renzi saranno pure riforme portentose, ma senza il soccorso di Berlusconi il Governo sarebbe in minoranza un giorno sì e l’altro pure. Brutto segno perché il Paese ha bisogno di cambiamenti profondi e l’intesa tra il premier e il Cavaliere è solo su pochi punti. L’abolizione delle Province dovrebbe essere tra questi, ma qualcosa ieri è saltato e Forza Italia ha presentato duemila emendamenti, mentre la maggioranza andava sotto due volte al Senato. Oggi il Presidente del Consiglio stringerà i ranghi e mal di pancia dell’ultimo momento a parte, per tremila consiglieri provinciali finirà la pacchia di stipendi, telefoni, segretarie e auto blu a spese nostre. Certo, nasceranno le città metropolitane e i tagli saranno meno profondi di quanto promesso, ma perlomeno su questo fronte un primo traguardo è a portata di mano. Su tutte le altre riforme però la sensazione è che Palazzo Chigi abbia pessime carte in mano. E annunciare ogni giorno una nuova rivoluzione non fa che rafforzare le resistenze conservatrici – sindacati in testa – sempre più convinte che a forza di mettere legna sul fuoco anziché far scoppiare l’incendio si finirà per soffocare la fiamma. Dal Job Act al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, dal piano per la casa a quello per le scuole, dal taglio del cuneo fiscale all’uscita di ieri del ministro Madia (che vorrebbe giustamente consentire il prepensionamento nel pubblico impiego per far spazio a forze giovani) l’asticella delle promesse si alza ogni volta di una nuova tacca. Ora però il problema non è fissare gli obiettivi su una cima inarrivabile, ma riuscire a raggiungerli. Quando Renzi ha promesso una riforma al mese, ci era sembrato di capire che queste riforme si facevano, non semplicemente che si annunciavano. Un super attivismo mediatico che serve a poco, perché troppa carne al fuoco non si cuoce. E chi vuole lasciarci a bocca asciutta sulle riforme lo sa.