Rissa sui capigruppo. Nel Pd riparte la faida tra bande

Il nuovo Pd della Schlein è già in salita sui capigruppo. La segretaria punta su Boccia e Braga. Gli ex renziani si mettono di traverso.

Rissa sui capigruppo. Nel Pd riparte la faida tra bande

Il nuovo Pd di Elly Schlein è già in salita sui capigruppo in Parlamento. Al di là degli abbracci e dei sorrisi ostentati dallo sconfitto Stefano Bonaccini durante l’assemblea nazionale che ha incoronato Schlein ora la minoranza interna (capeggiata da Base riformista) vorrebbe rivedere gli accordi. Si era detto che la presidenza del partito a Bonaccini avrebbe accontentato gli appetiti dei riformisti ma non è così. “Siamo rimasti all’ipotesi di due capigruppo di maggioranza e su questo non ci siamo. Aspettiamo segnali”, fa sapere un sostenitore di Bonaccini.

Il nuovo Pd della Schlein è già in salita sui capigruppo in Parlamento. La segretaria punta su Boccia e Braga. Gli ex renziani si mettono di traverso

I capigruppo che ha in testa Schlein sono sempre gli stessi: Chiara Braga alla Camera e Francesco Boccia al Senato. Chi ha sostenuto la corsa di Bonaccini ostenta ottimismo, facendo notare che tra segretaria e presidente del Pd regna una collaborazione che ha già superato la prova del tempo, affondando le radici nella giunta regionale che li vedeva presidente e vice in Emilia-Romagna.

Ottimismo basato anche sulle caratteristiche umane dei due protagonisti: “si tratta persone abituate a cercare punti di mediazione fra due proposte”, dicono. I tempi, tuttavia, rimangono lunghi e dall’area Bonaccini emergono anche segnali di nervosismo. Dalle parti della neo segretaria le opinioni sono molto diverse: “c’era un accordo ed è quello. Qualcuno chiama “capacità di sintesi” la scorrettezza di voler riaprire la discussione”.

La corrente di Guerini ora vuole tenersi la guida dei gruppi. Così Serracchiani e Malpezzi si incollano alla poltrona

A Bonaccini i suoi imputano aver voluto tenere separate le trattative della presidenza da quelle per la segreteria e i capigruppo, rimanendo così tagliato fuori da un discorso complessivo. La fumata bianca potrebbe arrivare a breve con l’indicazione dei capigruppo ma la chiusura del cerchio, con il passaggio nelle assemblee dei senatori e dei deputati, non arriverà prima della prossima settimana. E martedì, o mercoledì al massimo, potrebbero essere convocate le assemblee dei gruppi per il voto. In ogni caso, le capigruppo di Camera e Senato, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, non sono decadute, hanno rimesso il mandato nelle mani della segretaria, ma sono nel pieno delle loro funzioni.

Elly Schlein ieri non ha partecipato ai lavori della Camera, delegando l’intervento a nome del Partito democratico alla deputata Madia (e ascoltandola non si direbbe nemmeno che da quelle parti ci sia una nuova segretaria) e in serata è partita per Bruxelles dove parteciperà al pre-vertice dei socialisti europei sulla situazione economica, sulla guerra in Ucraina e sugli ultimi sviluppi in tema di migrazioni con i deputati europei del Pd. L’assenza di ieri alla Camera della segretaria ha soffiato su qualche veleno interno: qualcuno bisbiglia che avrebbe dovuto sciogliere le questioni dei gruppi alla parlamentari prima di incontrare gli eurodeputati e qualcun altro – più cattivo – sottolinea come la segreteria abbia preferito evitare le domande dei suoi parlamentari perché non ha le risposte.

Base riformista: “Se non si trova l’accordo si va alla conta”

La minaccia di Base riformista è sempre la stessa: “Se non si trova l’accordo si va alla conta”, fanno sapere dalla minoranza. In parole povere i bonacciniani potrebbero farsi forza dei numeri parlamentari che sono molto diversi dagli equilibri usciti dalle primarie. Sembra di rivivere l’incubo di sempre di un partito che si rinnova negli organi interni (e nelle posizioni politiche) senza riuscire a scrollarsi di dosso i vecchi cacicchi. L’asincronia dell’elezione di una nuova segreteria rispetto alla compilazione delle liste (e le elezioni politiche) è stato lo scoglio politico con cui si sono ritrovati ad avere a che fare tutti i segretari.

Dal 17 marzo del 2019, data dell’elezione di Nicola Zingaretti alla guida del partito, e poi con Enrico Letta la componente cosiddetta “renziana” del Pd ha promesso di volta in volta “unità e collaborazione” per poi battere puntualmente i pugni. A rendere tutto ancora più complicato c’è la composizione della nuova segreteria. Anche in quel caso l’accordo è di dare rappresentanza a entrambe le mozioni (Schlein e Bonaccini) ma nella minoranza già si discute del peso delle deleghe che verranno assegnate. Siamo alle solite.