Ritirato il salva-think thank, ma il problema resta. Impossibile per la Commissione di garanzia monitorare seimila enti

Quando la politica si scontra con la demagogia, il risultato non è mai soddisfacente. E così si rischia (quasi) sempre che il bene comune faccia posto alla forza del messaggio comunicativo. Anche se questo è vuoto. È questo il rischio che si potrebbe correre con la querelle dei giorni scorsi relativa a un emendamento inserito nel decreto fiscale e riguardante le fondazioni politiche. La norma, presentata dal dem Claudio Mancini, e votata da Pd, Leu, 5 Stelle e fortemente osteggiata da Italia Viva, prevedeva il rinvio di un anno dell’applicazione della legge relativa al monitoraggio delle fondazioni politiche, contenuta nello “Spazzacorrotti” e fortemente voluta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (nella foto).

La norma in questione ha infatti equiparato queste ultime ai partiti politici e, dunque, anche enti e think-tank devono ora obbedire agli stessi requisiti di trasparenza. Bene, si dirà. Certo, ma solo in teoria, come raccontato già giorni fa da La Notizia. Per la nuova legge, infatti, rientrano nel novero degli enti da monitorare tutte quelle organizzazioni i cui organi direttivi sono composti per un terzo da persone che hanno avuto incarichi politici negli ultimi 6 anni nel Parlamento europeo e nazionale, nel Governo, nelle Regioni e nei Comuni con più di 15mila abitanti. Stiamo parlando di circa 6mila fondazioni, per un totale di 53.904 politici o ex politici da controllare, un numero talmente elevato che rende la fattibilità stessa dell’operazione un’illusione.

Non a caso la stessa Commissione di garanzia che ha il compito di monitorare e verificare, ha lanciato più e più volte, in sede ufficiale e per via informale, allarmi sulla mancanza di mezzi e personale. Alla fine ieri il Pd ha deciso, dopo le tante e tante polemiche, di ritirare l’emendamento. “Ho presentato un emendamento alla luce del sole per rinviare l’entrata in vigore di una legge al momento inapplicabile che riguarda migliaia di associazioni. Visto che si pensa che ci siano secondo fini o obiettivi particolari, non resta che tornare in commissione e modificare il mio emendamento”, ha dichiara in una nota lo stesso Mancini. Anche Luigi Di Maio, d’altronde, ha bocciato il voto favorevole dei suoi in commissione e ha definito il rinvio della norma sulle fondazioni una “porcheria che va tolta”. “Il decreto torni subito in commissione”, è stata l’esortazione del capo politico del M5s. Sarà.

Ma poter dire oggi che 6mila think-tank saranno controllati e monitorati, ha senso soltanto se poi questo realmente accade, altrimenti siamo in presenza dell’ennesima norma utile da sbandierare all’elettorato senza che poi si giunga a una soluzione concreta. In altre parole: l’insistenza sul controllo delle fondazioni politiche è sacrosanto (le inchieste degli ultimi giorni, d’altronde, spiega questa impellente necessità), ma a patto che la Commissione di garanzia composta oggi da soli cinque magistrati, abbia gli strumenti e il personale per verificare fino in fondo il rispetto degli obblighi di trasparenza per ognuno degli enti in questione. Altrimenti la legge resterà valida solo in teoria.