Rivolta per i territori, a Gaza riesplode la guerra: 14 palestinesi uccisi e oltre 1.200 feriti negli scontri

Non c’è Pasqua che tenga: il fuoco sotto la poca cenere della fragile tregua tra israeliani e palestinesi aspettava un soffio di vento per tornare a bruciare tutto. E la cosiddetta “marcia del ritorno” è stata la miccia perfetta. Le proteste per tornare nelle aree espropriate più di quaranta anni fa da Tel Aviv hanno scatenato un inferno, con lanci di pietre e molotov dalla parte araba e il piombo dei cecchini con la stella di David dall’altra. Il bilancio provvisorio è di quattordici morti e circa milleduecento feriti, ma la nuova ferita aperta su un corpo già fin troppo sofferente non si sa che effetti può avere anche nel breve periodo. La guerriglia scatenata da Hamas ha dalla sua parte centinaia di adolescenti e bambini, sui quali le forze di sicurezza di Israele non avrebbero esitato a sparare. Secondo quanto riferito dal ministero della Sanità di Gaza, proprio tra le vittime di ieri c’è sicuramente un sedicenne. La reazione militare apparentemente sproporzionata deve essere sembrata inevitabile quando la folla riunitasi per rivendicare le ex aree palestinesi è diventata incontenibile. Le zone espropriate nel lontano 1976, per impedirne l’uso come base da cui colpire Israele, sono infatti considerate una prevaricazione.

Così circa 20mila persone chiamate da Hamas – secondo una stima fornita dall’esercito israeliano – si sino concentrate in cinque luoghi lungo la barriera di separazione della Striscia di Gaza con Israele, bruciando pneumatici, lanciando bombe molotov e pietre contro la barriera.

In un primo tempo le forze armate israeliane hanno risposto con misure di dispersione dei disordini, ma poi sono dovute passare ad aprire il fuoco verso quelli che successivamente sono stati definiti i principali istigatori. Secondo quanto riportato dai media locali, l’esercito ha schierato fra le sue forze oltre cento cecchini. A sparare è stata però anche l’artiglieria pesante. Una delle vittime, un giovane agricoltore, è stato ucciso a Sud della striscia di Gaza dalle schegge di un proiettile di artiglieria assestato da carri armati. I morti, esattamente come i feriti, si registrano comunque su tutto il perimetro della divisione tra lo Stato di Tel Aviv e i palestinesi. Il tragico epilogo di una crisi mai risolta e che di sicuro mai si risolverà continuando con le ultime azioni dell’amministrazione Trump – interpretate come provocazioni – a partire dal riconoscimento formale di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico. In questo clima da sempre avvelenato, gli israeliami non hanno fatto nulla per nascondere i muscoli, utilizzando in grandi quantità i gas lacrimogeni. Un tentativo del tutto non riuscito di smorzare sul nascere una protesta che nel programma iniziale era già prevista di sei settimane. Per questo da giorni i manifestanti montavano le loro tende a ridosso delle protezioni alzate dagli israeliani. Il Land day (giorno della terra), come si chiama la ricorrenza dell’esproprio ai palestinesi, è così rapidamente sfuggito di mano.

Ad ingrossare le fila delle frange più violente è stata la fine della preghiera del venerdì nelle moschee, quasi a far immaginare che in quella sede gli imam abbiano spinto i fedeli islamici ad unirsi alla battaglia. “Quarantadue anni dopo – ha detto Hanan Ashrawi, dell’Olp – i palestinesi in tutta la Palestina storica continuano a sopportare distruzione, spostamenti e disumanizzazione per mano di un governo di estrema destra ed estremista israeliano. Restiamo impegnati in un attivismo popolare, non violento e politico, in sforzi legali e diplomatici e continueremo la lotta per la nostra libertà, diritti e dignità”. Si tratta solo della sommossa di facinorosi, è stata invece la risposta di Israele.