Dal limitare le intercettazioni, alla discussione sul 41bis. Alfonso Sabella, giudice a Napoli, non trova che la politica mentre dibatte dei massimi sistemi stia perdendo di vista il quadro generale?
“Parliamo in modo molto chiaro: la politica affronta questi temi soltanto quando gli è comodo farlo. Le faccio un esempio, sul 41bis si è alzato un polverone per il fatto che dei parlamentari del Partito democratico sono andati a Sassari a trovare Alfredo Cospito. Eppure quando lavoravo a Palermo, all’epoca nessuno si era sconvolto più di tanto davanti al fatto che molti parlamentari, praticamente di tutti i partiti, andavano al carcere dell’Ucciardone per incontrare detenuti al 41bis promettendo loro che si sarebbero impegnati per abolire le norme sul carcere duro. E stiamo parlando del 1996, cioè in un tempo dove il problema era a dir poco sentito”.
Dopo l’arresto di Messina Denaro, alcuni politici hanno decretato la fine di Cosa nostra. È così?
“L’anima stragista, di cui Matteo Messina Denaro faceva parte, era finita da una ventina di anni grazie al lavoro della magistratura e delle forze di polizia. Un’epoca che si è chiusa il 14 aprile del 1998 con l’arresto di Vito Vitale. Chiaramente l’arresto di Matteo Messina Denaro è la ciliegina sulla torta ma di sicuro non costituisce la fine di Cosa nostra. Bisogna che ci mettiamo in testa che Matteo Messina Denaro non era e non è mai stato il capo dell’organizzazione siciliana. Quando ne ha avuto l’occasione, non l’ha voluto fare e questo lo dicono numerose inchieste che hanno chiarito che dopo la stagione delle stragi di mafia, Matteo Messina Denaro ha preferito abbandonare i vari Bagarella, Riina e Brusca, per farsi gli affari suoi nel proprio feudo, stipulando un patto di ferro con Bernardo Provenzano. Ma anche fosse stato il capo, non dimentichiamoci che Cosa nostra ci ha abituato alla sua capacità di metabolizzare gli arresti”.
Intanto a Roma tornano i regolamenti di conti. L’ultimo episodio è accaduto ieri a Ostia dove un pregiudicato è stato ucciso con alcuni colpi di pistola. La preoccupa la situazione nella zona del litorale romano?
“Si, sono molto preoccupato. Guardi non voglio girarci intorno, stiamo assistendo a un fenomeno che io ho definisco: ‘camorrizzazione di Roma’. Durante la mia carriera ho potuto toccare con mano la situazione e le dico che a Ostia la mafia l’ho vista mentre in Campidoglio non ne ho mai sentito neanche l’odore. Voglio che sia chiaro che nel litorale romano, ormai da anni, la criminalità organizzata opera nello stesso identico modo di come fa la camorra a Napoli con il controllo del territorio, i bunker, i cancelli e quant’altro. Com’è vero che Cosa nostra non finisce con la cattura di Messina Denaro, altrettanto vero è che la mafia a Ostia e ormai anche a Roma è una realtà”.
Dopo le condanne dei Fasciani e degli Spada era facile immaginare una lotta di potere. Eppure il Campidoglio da un anno dice poco e niente sul problema?
“Guardi la sottovalutazione del problema c’è e purtroppo è globale. A nessuno piace essere etichettato come mafioso e per questo il primo sentimento, umanamente fisiologico, è quello di negare la presenza delle mafie. Il problema è che così facendo si finisce per alimentare il fenomeno mentre bisognerebbe prenderne atto per cercare di contrastarlo con ogni strumento a disposizione. È possibile che il Campidoglio stia sottovalutando il problema ma di sicuro non è il sindaco il primo a doverlo affrontare perché ci sono apposite autorità, a cominciare dalla magistratura e dalle forze di polizia, che devono farlo”.
Il problema delle mafie riguarda tutto il Paese e infatti molte Procure sono in allerta in vista dei fondi del Pnrr.
“Quello che mi preoccupa e che do per scontato è che in vista dei fondi del Pnrr, la mafia si è già organizzata da tempo. Al contrario mi sembra che lo Stato non si sia adeguatamente preparato per contrastare le infiltrazioni. Dico questo perché vedo ancora ritardi nella sistemazione del codice Appalti e l’esaltazione del modello Genova, quello utilizzato con successo dopo il crollo del ponte Morandi, che semplificando le procedure e i controlli rischia di creare autostrade per la criminalità organizzata”.
Come giudica i primi passi del ministro Nordio in materia di Giustizia?
“Non mi permetto di giudicare l’azione della politica. L’unica cosa che posso dire è che non dobbiamo pensare che certi problemi siano stati risolti. Per questo nessuno deve sognarsi di indebolire gli strumenti atti a contrastare la criminalità organizzata e in particolare la corruzione, semmai questi devono essere rafforzati”.