Poco alla volta procede lo scambio di salme tra Hamas e Israele, che sta garantendo – almeno formalmente, visto che i combattimenti, seppur a bassa intensità, non si sono mai fermati – il proseguimento del cessate il fuoco a Gaza. L’ultimo cadavere riconsegnato dai miliziani palestinesi è quello dell’israelo-americano Itay Chen, un sergente maggiore che prestava servizio nei corpi corazzati e che era di stanza al confine di Gaza il 7 ottobre 2023.
Con il suo rimpatrio, sale a sette il numero di salme ancora presenti nella Striscia, che dovranno essere riconsegnate a Tel Aviv nell’ambito di questa prima fase del cessate il fuoco.
Il problema, come noto, è che Hamas non ha piena contezza di dove si trovino le salme mancanti e, per questo, malgrado il pressing delle autorità israeliane – che un giorno sì e l’altro pure minacciano la ripresa del conflitto in caso di ulteriori ritardi – da tempo chiede aiuto all’Occidente e ai Paesi arabi per individuarle.
Al momento le ricerche proseguono senza sosta, concentrandosi soprattutto nel quartiere di Al Shuja’iyya, a est di Gaza City, nel nord della Striscia, dove – secondo quanto trapela – si troverebbero almeno due vittime. Proprio per cercare di accelerare le operazioni di ricerca, la Croce Rossa ha inviato una squadra di esperti che, insieme a un gruppo delle Brigate al-Qassam, ossia l’ala militare del gruppo islamista palestinese Hamas, stanno setacciando l’area.
L’accordo Hamas–Anp
Una fragile tregua che Hamas, almeno apparentemente, sta cercando di blindare anche al costo di rinunciare al proprio arsenale pesante e di giungere a patti con l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), con cui sono in corso interlocuzioni sul futuro della Striscia. Trattative serrate che, dopo lo stallo dei giorni scorsi, hanno segnato una svolta grazie a uno dei più importanti leader di Hamas, Moussa Abu Marzouk, che ha dichiarato che fra la sua fazione e l’Anp è stato raggiunto un accordo per l’istituzione di un “comitato temporaneo” che gestirà la Striscia di Gaza.
A darne notizia è il Times of Israel, secondo cui questo organismo dovrà supervisionare i valichi di frontiera e gestire le forze di sicurezza nella Striscia. Un organismo che, se otterrà il via libera degli Stati Uniti di Donald Trump, sarà presieduto da un ministro dell’Anp che ricoprirà il ruolo di garante dell’accordo. Malgrado non sia ancora noto il nome del politico scelto, i media arabi danno come probabile il ministro della Salute dell’Anp, Majed Abu Ramadan. Peccato che sul suo nome, almeno secondo indiscrezioni giornalistiche, Israele avrebbe già espresso la propria ferma contrarietà.
Tel Aviv non fa sconti e il gruppo palestinese denuncia: “Vogliono sabotare la tregua”
Quel che è peggio è che il cessate il fuoco sta funzionando soltanto a parole, perché continuano le operazioni militari di Israele e, come raccontato dallo stesso Marzouk, lo Stato ebraico starebbe tuttora impedendo l’ingresso alle forze dell’Onu nelle aree controllate dall’esercito israeliano (Idf). Proprio questo punto, secondo l’alto esponente di Hamas, “contraddice la bozza di proposta presentata dagli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, incentrata sullo spiegamento di una forza internazionale di stabilizzazione a Gaza” e costituisce “l’ennesima violazione dell’accordo di cessate il fuoco”, che prevedeva il via libera alla consegna degli aiuti umanitari nella Striscia.
In sostanza, la tesi è che le autorità di Tel Aviv starebbero di fatto sabotando il cessate il fuoco per poter riprendere la guerra. Che le cose stiano così sembra suggerirlo anche il ministro della Difesa, Israel Katz, che ieri ha ribadito che l’obiettivo di Israele a Gaza è chiaro: “Le Forze di difesa israeliane (Idf) agiscono per distruggere i tunnel ed eliminare i terroristi di Hamas senza alcuna restrizione all’interno dell’area gialla sotto il nostro controllo, oltre allo smantellamento di Hamas e alla smilitarizzazione di Gaza”.
Miliziani in trappola
Il riferimento sarebbe ai circa 200 combattenti che si nasconderebbero nei tunnel sottostanti la città di Rafah e che, pur trovandosi in un’area controllata dall’Idf, non hanno modo di ritirarsi. Si tratta di una situazione complicata, alla quale sta cercando di porre rimedio la diplomazia statunitense con un forsennato pressing su Israele affinché consenta un passaggio sicuro ai combattenti, in modo da non vanificare gli sforzi di pace.
Tuttavia, Benyamin Netanyahu continua a fare muro, tanto che anche ieri ha ripetuto che Israele “non consentirà mai un passaggio sicuro” ai terroristi che, a suo dire, “dovranno essere eliminati”. Parole alle quali hanno fatto seguito, puntuali come un orologio svizzero, nuovi raid aerei che hanno colpito Gaza City, Khan Yunis e Rafah, dimostrando, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che l’attuale tregua esiste solo sulla carta.