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Salari bassi e precariato. La verità sul mercato del lavoro

Gli economisti dell'Ocse hanno scattato una fotografia puntuale dello stato di salute del mercato del lavoro italiano.

Su “Affari&Finanza” di lunedì 15 aprile, l’economista dell’Ocse Andrea Garnero e Valentina Conte hanno scattato una fotografia puntuale dello stato di salute del mercato del lavoro italiano. Malgrado i numeri diffusi periodicamente da Inps e Istat testimonino un suo certo dinamismo, difatti, i problemi non mancano. Anzi. Tre su tutti: i bassi salari, l’inverno demografico e il precariato, che, checché ne dicano maggioranza e governo, esiste (e resiste).

L’analisi di Garnero e Conte fa il paio con i contenuti del rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) 2023, diffuso due giorni dopo dallo stesso Istituto di statistica. Il capitolo 3, “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita”, mette a fuoco ulteriori elementi di criticità, che l’esecutivo continua a far finta di non vedere. Relativamente alla precarietà, ad esempio, l’Istat scrive che sì, lo scorso anno i dipendenti a termine hanno fatto registrare un calo del 2,4%, ma tale riduzione riguarda “esclusivamente” la componente degli occupati con lavoro a tempo determinato da meno di cinque anni, mentre “aumentano quanti svolgono un lavoro a termine da cinque anni e più”.

L’indicatore, precisa ancora l’ente, passa dal 17% al 18,1%. Significa, in sostanza, che una fetta non irrilevante della nostra forza lavoro è caduta in una trappola, appunto quella del precariato, da cui non riesce a uscire. Non solo. “La quota dei lavoratori a termine da almeno cinque anni – scrive sempre l’Istat – aumenta di più tra i laureati (+2,4%) rispetto a chi possiede il diploma (+1,3%). Per chi ha raggiunto al più la licenza media l’incremento è invece lieve (+0,4%)”. Un vero e proprio paradosso. Ma non è tutto.

Anche l’ormai annosa questione del part time involontario, ossia gli occupati che dichiarano di lavorare a tempo parziale perché non sono riusciti a trovare un impiego a orario intero, è tutt’altro che di prossima risoluzione. Al divario di genere – la quota di part time involontario tra le donne occupate è ancora tripla rispetto a quella degli uomini e riguarda circa la metà di quelle impegnate in lavori a tempo parziale – si somma il fatto che tale fenomeno “tende ad associarsi maggiormente a condizioni di vulnerabilità: a fronte di un calo di questa forma di lavoro tra i dipendenti a tempo indeterminato e tra gli autonomi, non si registra alcuna riduzione tra i dipendenti a termine, dove il fenomeno è ampiamente diffuso (22,9%)”, mette nero su bianco l’Istituto.

Infine, dal report emerge come nel 2023 il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni senza figli (77,5%) sia stato di oltre venti punti percentuali superiore se messo a confronto con quelle con bambini tra 0 e 5 anni (56,6%), con un picco negativo nel Mezzogiorno: 38% contro il 66,9% nel Nord e il 64,4% nel Centro. Prima o poi bisognerà aprire gli occhi.