di Clemente Pistilli
C’è chi attende di vedersi annullare una multa ingiusta e chi le scuse dal vicino molesto, chi attende qualche spicciolo per i danni riportati in un incidente stradale e chi di vedersi restituire un po’ di onore dopo essere stato denigrato gratuitamente. In tanti attendono giustizia dal Giudice di pace, ma ben quattrocentomila utenti in queste settimane sono costretti a tornare a casa e a veder trascorrere altro tempo prima di una sentenza. I magistrati sono in sciopero, l’incontro con la ministra Annamaria Cancellieri non ha risolto neppure un problema di quelli sul tappeto e anche questa settimana niente udienze. Le toghe hanno le loro buone ragioni per incrociare le braccia, per lottare con l’obiettivo di uscire da uno stato di precarietà perenne e cercare di ottenere un minimo di diritti come tutti i lavoratori. Tra il Governo che resta sordo a tali istanze e i giudici che protestano, a rimetterci restano però i cittadini. Tanto per cambiare.
Due settimane di disservizi
Allo sciopero, che andrà avanti fino al prossimo 6 dicembre, sta aderendo il 90% dei giudici di pace in servizio, che su un organico previsto di 4690 giudici ne conta appena 2041. Astensione dalle udienze per chiedere un minimo di stabilità, essendo tutti gli incarichi in scadenza e la proroga prevista di un solo anno, contro i quattro promessi a luglio dalla ministra Cancellieri. I giudici di pace chiedono inoltre un minimo di tutela, visto che per loro non sono previste ferie, malattia, pensione e, dopo sei mesi di assenza, anche se dovuti a problemi di salute o a una gravidanza difficile, vengono mandati a casa. Lo sciopero sta portando così a rinviare circa 200mila procedimenti, che coinvolgono circa 400mila persone. Per gli utenti c’è il disagio dell’udienza rinviata, di solito di circa tre mesi, delle altre spese da affrontare man mano che i tempi per la sentenza si dilatano e soprattutto del perdurare di quei grandi e piccoli problemi di ogni giorno che portano il cittadino comune a chiedere l’intervento di un magistrato. Negli uffici i cittadini hanno mantenuto un atteggiamento composto, ma la rabbia è tanta.
In via Arenula tirano dritto
Il Ministero della giustizia non sembra invece preoccupato di tale situazione. L’unico risultato sinora ottenuto dai giudici di pace è stato quello di un incontro con la guardasigilli Annamaria Cancellieri e i dirigenti del dicastero di via Arenula, definito però dall’Unagipa (Unione nazionale giudici di pace) “estremamente negativo”. La minsitra è rimasta in silenzio sulle promesse disattese e l’appuntamento si è concluso con la promessa di un tavolo di lavoro da aprire a metà gennaio. “La delegazione dell’Unione – hanno specificiato in una nota il presidente dell’Unagipa, l’avvocato Gabriele Longo, e il segretario generale, Alberto Rossi – dopo aver controbattutto con determinazione alle affermazioni del ministro e del suo staff circa le difficoltà per l’accoglimento delle nostre richieste, ha chiesto al ministro di esprimere almeno una posizione preghiudiziale sulla continuità del rapporto dei giudici di pace, quale condizione indispensabile per l’avvio di un confronto produttivo. Ma il ministro e il suo staff non hanno voluto dare una risposta, disattendendo le note aperture manifestate dalla stessa Cancellieri il 17 luglio”. Il presidente Longo non ha dubbi: “A questo punto andremo avanti nella protesta. Stiamo già pensando anche ad altre azioni, perché non si può andare avanti così. Tra l’altro – ha aggiunto – la precarietà crea problemi anche nella gestione delle udienze, visto che è difficile fissarle quando non c’è un giudice stabile e i problemi con le stesse notifiche sono tanti. Si crea un gravissimo disservizio”. Una situazione che la scorsa settimana ha portato le associazioni di categoria ad annunciare di volersi rivolgere anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Vedere un giudice costretto a fare udienza mentre è debilitato dalla chemioterapia o una giudice che deve stare in aula pochi giorni prima del parto, soltanto perché se si assenta perde il posto, non è degno di un Paese civile. E non è civile un Paese che nega la giustizia a migliaia di suoi cittadini.
Un Paese senza giustizia. Consumatori inviperiti: così la legge è una farsa
I giudici di pace protestano, il Governo resta immobile e la gente ci rimette tempo e denaro. Alla fine paga sempre il cittadino e l’Aduc lo sa bene. E’ per questa ragione che, per bocca del vicepresidente nazionale Pietro Moretti, l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori si dichiara contraria allo sciopero in atto, specificando anche che qualche magistrato avrebbe bisogno di studiare un po ‘ di più.
Perché no alla protesta
Moretti, lasciata la carriera accademica negli Stati Uniti, dopo un caso di malasanità subito dalla mamma, e rientrato in Italia per dedicarsi alla tutela dei diritti civili, con l’Aduc è in prima linea sui problemi con cui quotidianamente devono fare i conti gli utenti della giustizia. “Siamo in disaccordo con l’utilizzo dello sciopero da parte dei giudici di pace – ci ha dichiarato il vicepresidente dell’Associazione . in quanto non colpisce il datore di lavoro, ma i cittadini e gli utenti della giustizia. Abbiamo casi di utenti che a seguito di questo sciopero si vedono l’udienza rimandata al 2015, magari per semplici ricorsi presentati nel 2010 o 2011”. Cinque anni in attesa di risolvere piccoli e grandi problemi, con tanti disagi e tante spese, a partire da quelle legali. “I tempi del giudice di pace – ha sostenuto Moretti – sembrano conformarsi a quelli tristemente noti della giustizia civile in generale. In questo senso, l’equiparazione tra magistratura onoraria e il resto della magistratura ordinaria, rivendicata dai giudici di pace, sembra essere stata già raggiunta.
Troppa impunità in toga
Per il vicepresidente dell’Aduc il grande problema sono le troppe tutele dei magistrati, che arrivano a godere di una sorta di impunità. L’esponente dell’Associazione a difesa dei consumatori teme che tali privilegi, a tutto danno dei cittadini, possano essere estesi anche ai giudici di pace. “Pur non essendo d’accordo sul metodo – ha affermato Moretti – condividiamo certamente alcuni dei problemi denunciati, problemi che possono mettere a rischio l’indipendenza della funzione giurisdizionale che i giudici di pace esercitano al pari dei loro colleghi di carriera. Ma da qui ad invocare le stesse garanzie riconosciute alla magistratura ordinaria ce ne corre. Non perché le due categorie debbano essere trattate differentemente, ma perché a nostro avviso la magistratura di carriera gode di tutele e privilegi tali da renderla totalmente irresponsabile di fronte ai propri errori anche più gravi e grossolani. Non vorremmo che questo “privilegio” fosse garantito anche ai giudici di pace. Piuttosto dovrebbe essere rivista la normativa anche per i giudici di carriera, come peraltro richiesto dagli italiani con un referendum popolare.
Errori inammissibili
Sacrosanti i diritti reclamati dai giudici di pace, ma tanti anche i doveri di tali magistrati, che stando ai casi seguiti dall’Aduc, spesso verrebbero disattesi, complice l’assenza di reale preparazione da parte di qualche giudice. “Sarebbe auspicabile – ha denunciato il vicepresidente dell’Associaizone – che anche i giudici di pace facessero un po’ di autocritica. Ci capita purtroppo spesso trovare giudici di pace impreparati e non aggiornati. Ad esempio, esiste una norma europea del 2007 che permette di fare causa presso il proprio giudice di pace contro soggetti stranieri. Ebbene, molti uffici del giudice di pace, non conoscendo questo Regolamento UE, semplicemente respingono i cittadini invitandoli a prendersi un legale e fare causa all’estero. Oppure capita spesso che nel medesimo Ufficio, di fronte a procedimenti analoghi, si abbia un esito positivo o negativo a seconda del giudice assegnato. Insomma, un terno al lotto. Sono solo alcuni dei tanti esempi che negli ultimi anni hanno portato molti utenti a diffidare anche di questo importante strumento di giustizia”. In definitiva è un intero sistema quello che va rivisto, affinché si arrivi a dare un inquadramen. In queste due settimane nessuno in via Arenula si è strappato i capelli, il ministro Annamaria Cancellieri non ha passato notti insonni, ma chi si è visto rinviare di mesi l’attesa sentenza sì.