Salute, Castellone: “Servono più medicina territoriale e più personale”

“Meloni evita di parlare della spesa sanitaria in rapporto al Pil. Ma non avevamo mai livelli così bassi come gli attuali”

Salute, Castellone: “Servono più medicina territoriale e più personale”

Nel Documento di economia e finanza (Def), la Fondazione Gimbe sostiene che nel 2024 ci sia un aumento della spesa sanitaria solo illusorio. Mariolina Castellone, vicepresidente del Senato del Movimento Cinque Stelle, ci spiega come stanno le cose?
“Il Def del 2024 certifica due cose. Da un lato che nel 2023 si è speso meno del previsto, perché la spesa sanitaria si è ridotta rispetto a quanto era stato previsto nella Nadef del 2023. Si è passati cioè da circa 134 a 131 miliardi, un vero e proprio definanziamento della spesa sanitaria, che rispetto al Pil vale lo 0,4 per cento. L’altro dato è la previsione per il 2024 dove in teoria si dovrebbero spendere sette miliardi in più ma si tratta solo dello spostamento della spesa prevista nel 2023 per il rinnovo di contratti scaduti nel 2021. Come al solito questo governo fa il gioco delle tre carte: si spostano i soldi da un capitolo all’altro ma non si mette un euro in più. Anche perché abbiamo visto che in legge di Bilancio non c’erano risorse aggiuntive per la sanità se non fondi per il rinnovo contrattuale e due miliardi di euro in tre anni destinati alla sanità privata”.

Perché il governo Meloni continua a parlare di fantomatici aumenti record per la Sanità?
“Cosa fa il governo Meloni? Parla dell’aumento incrementale negli anni del Fondo sanitario nazionale senza dire che se il fondo è aumentato è soprattutto perché è cresciuto nei governi precedenti, quando solo negli esecutivi Conte durante la pandemia abbiamo investito 13 miliardi di euro, più i 16 miliardi previsti nel Pnrr. Dunque quell’aumento che c’è stato è stato conseguenziale e legato alla pandemia ma già sappiamo che non contempla l’inflazione. Investimenti veri non ce ne sono stati sulla sanità, tanto che la spesa sanitaria sul Pil – quello è il dato che va analizzato e di cui questo governo e questa maggioranza non vogliono parlare, preferendo nascondersi dietro i numeri sugli investimenti in termini assoluti – sta scendendo a livelli più bassi del pre-Covid. Oggi siamo al 6,3% e in previsione andremo a scendere ancora di più. Noi, in pandemia, avevamo raggiunto il 7,4% del Pil, in linea con la media europea. Oggi, invece, siamo tra i Paesi europei quelli che spendono meno per la sanità”.

Ritiene che i principi fondamentali di universalità, equità e giustizia del Servizio sanitario nazionale siano stati traditi dal governo Meloni?
“Li sta tradendo nella misura in cui definanzia la sanità pubblica e continua a investire risorse nel privato. I dati di cittadinanza attiva ci dicono che il tempo medio in tutta Italia per una mammografia arriva quasi a due anni e per una vista specialistica ci vogliono mesi. Se non si vogliono aspettare quei tempi nel pubblico o nel privato convenzionato, si va nel privato-privato e si pagano le prestazioni. Oggi le famiglie si stanno indebitando per curarsi o stanno rinunciano alle cure, come hanno deciso di fare oltre 4 milioni di italiani che non possono permettersi la sanità privata e non possono aspettare i tempi della sanità pubblica. Per alcune patologie, aspettare mesi o anni per fare una vista o un esame significa non fare in tempo a guarire. E questo è un grande fallimento del nostro Stato che non riesce a garantire a tutti quell’articolo 32 sancito dalla Costituzione che è il diritto alla tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo”.

Come l’Autonomia differenziata può peggiorare le cose?
“L’Autonomia non farà altro che dare il colpo di grazia, rendendo strutturali questi divari che ci sono oggi nell’accesso alle cure. Del resto noi abbiamo la prova di come potrà funzionare, se consideriamo la riforma del Titolo V della Costituzione che nel 2001 ha dato il potere alle regioni di gestire gran parte delle politiche sanitarie. E da allora le differenze sono aumentate nell’accesso ai servizi per i cittadini. Oggi la migrazione sanitaria ci costa oltre 4 miliardi di euro. Per non parlare del fatto che il 90 per cento di saldo attivo finisce nelle casse delle tre regioni che chiedono più autonomia, ovvero Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, e oltre il 70 per cento di saldo passivo è a carico delle regioni del Sud. Questo vuol dire che le persone si spostano da Sud a Nord per curarsi. Se con questo scellerato disegno Calderoli il governo farà in modo che le regioni più ricche trattengano il loro gettito fiscale, è chiaro che ci saranno meno risorse per le altre regioni più fragili che non avranno modo di risolvere i loro divari strutturali. Questa riforma è una bandierina elettorale che questa maggioranza sta piantando e a pagare pegno saranno i cittadini, soprattutto quelli più fragili”.

Per risolvere il problema delle liste d’attesa il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha convocato un ennesimo tavolo. E ha proposto di mettere assieme le liste di attesa di pubblico e privato convenzionato.
“Avere un’agenda unica delle prestazioni pubblico-privato è un passo che va fatto, ma se la soluzione è far fare più straordinari ai medici o tenere aperti gli ambulatori nel fine settimana non andremo da nessuna parte. Qui le soluzioni sono due. La prima è assumere più personale. Già oggi i medici lavorano 60 ore a settimana in ospedale. Tanto che quel fondo stanziato per accorciare le liste di attesa e che prevedeva di pagare di più gli straordinari dei medici è in parte inutilizzato proprio perché c’è un limite fisico di ore che possono fare gli operatori sanitari. Altro step è spostare gran parte delle prestazioni sul territorio. Perché tutta la diagnostica, gli screening, le visite specialistiche si possono fare sul territorio. La missione 6 del Pnrr stanzia 16 miliardi per rafforzare la rete di cure territoriali attraverso case e ospedali di comunità e per digitalizzare il servizio sanitario nazionale, ma se questa viene definanziata non va bene. Abbiamo perso 500 milioni di euro dal fondo complementare che servivano in parte al rinnovamento degli ospedali e in parte alla digitalizzazione. E se quel progetto di rafforzamento della medicina territoriale non viene concretizzato perdiamo un aiuto importante anche per accorciare le liste d’attesa. Vediamo cosa uscirà da questo tavolo. I presupposti non sono dei migliori. Perché su queste due cose fondamentali – assumere personale e rafforzare il territorio – non solo non si stanno facendo passi avanti, ma si fanno enormi passi indietro”.