Sanità a confronto, quando privatizzare fa rima con privare

Lombardia, Lazio e Campania, la situazione non cambia: il pubblico ha appaltato la sanità al privato a tutto svantaggio dei cittadini.

Sanità a confronto, quando privatizzare fa rima con privare

Nella sanità è sempre più il privato a farla da padrone. Il pubblico ha ceduto da tempo il passo e le Regioni – dalla Lombardia al Lazio, passando per la Campania – hanno di fatto appaltato la sanità ai privati, con vantaggi per le aziende che lavorano in regime di convenzione.

Qual è la situazione nelle tre Regioni? Quante sono le visite e le prestazioni sanitarie che il pubblico appalta al privato? E, ancora, quanto guadagnano le aziende e quanto ci rimettono invece i cittadini da questa decisione di esternalizzare i servizi?

In Lombardia i big della sanità all’incasso

Mentre la medicina territoriale continua a essere smontata, in Lombardia ad aggiudicarsi la fetta più grande della torta sono i gruppi privati, grazie alle riforme varate nel tempo da Roberto Formigoni, Roberto Maroni e Letizia Moratti, che hanno equiparato pubblico e privato.

Le aziende private, che operano per fare profitti, concentrano la loro attività soprattutto su operazioni poco rischiose e visite specialistiche, mentre gli ospedali pubblici si fanno carico prevalentemente dei pronto soccorso, dei traumi causati dagli incidenti stradali, della cura degli anziani e dei cronici, delle malattie rare.

Secondo il sito lavoce.info, “nel 2021, su oltre 22 miliardi di spesa pubblica sanitaria (2.200 euro per abitante), la Lombardia ne ha conferiti 6,4 agli operatori privati (erano 5,7 nel 2012). Più di un terzo è andato alle altre prestazioni sanitarie, di cui 1,5 miliardi destinati all’acquisto di prestazioni da consultori privati e comunità terapeutiche.

I ricoveri ospedalieri presso strutture private costano 2,1 miliardi e le visite specialistiche 1,1 miliardi. La spesa per abitante affidata a operatori privati ammontava nel 2021 a 645 euro, con un incremento di oltre il 10 per cento in dieci anni”. Ma quali sono i fatturati dei gruppi sanitari privati? L’ultima classifica disponibile è quella elaborata dal sito di data-journalism Truenumbers.it che ha elaborato i dati sulla base dei bilanci aziendali riferiti al 2019.

Secondo questi dati è l’ospedale San Raffaele di Milano (inaugurato nel 1971, nel 2012, poco dopo la morte del suo fondatore, don Verzè, è stato acquisito dal Gruppo San Donato), quello con il fatturato maggiore: 587 milioni e 323 mila euro. Subito dopo viene, con 487 milioni e 669 mila euro, l’Humanitas Mirasole Spa. Si tratta del gruppo che fa capo a Gianfelice Rocca, che nel 1996 fonda l’ospedale Humanitas di Rozzano.

La centralità della Lombardia nell’ambito degli ospedali privati in Italia è evidente anche dalla quarta posizione in questa classifica degli Istituti Scientifici Maugeri Spa Sb. Fondati a Pavia, hanno poi aperto altre sedi principalmente nel Nord Italia. Fatturavano, nel 2019, 291 milioni e 181 mila euro.

Altra realtà lombarda, milanese in questo caso, è Multimedica Spa, che segue con entrate di 222 milioni e 871 mila euro. L’apparente pluralità di soggetti non deve, però, ingannare: è il Gruppo San Donato a dominare la scena della sanità nella Regione Lombardia. Oltre a possedere il San Raffaele, Rotelli, a capo della holding, ha anche la gestione di altri istituti di cura importantissimi, come naturalmente il Policlinico San Donato, il primo fondato dopo l’Istituto Città di Pavia, o l’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che da solo è ottavo con 199 milioni e 26 mila euro nella classifica dei fatturati.

Nel Lazio una visita su due alla sanità privata

Una prestazione su due del servizio sanitario regionale nel Lazio viene svolta dal privato. Un dato che tiene conto di tutte le attività del personale privato e che mostra come la sanità sia sempre meno pubblica. Gli ultimi dati disponibili, forniti dal Mef, risalgono al 2021 e mostrano come il Lazio sia la Regione che in termini di spesa per le prestazioni fornite dal privato sia la prima in Italia: ben il 29,7%. Una percentuale in costante crescita e contro una media in Italia del 20%.

Come spiega Natale Di Cola, segretario generale della Cgil Roma e Lazio, a questo dato vanno aggiunte altre prestazioni e attività, come quelle dei medici di medicina generale, che portano la quota al 50%. L’effetto è che aumenta la spesa per il privato e si riduce “il perimetro pubblico”. E ci sono altri dati a dimostrarlo: i posti letto, rispetto al 2010, sono diminuiti del 7,6% (e prima della pandemia il calo era addirittura del 20%), il personale è il 10% in meno sempre rispetto al 2010, passando da oltre 48mila a poco più di 43mila unità.

Per questo la Cgil chiede 10mila nuove assunzioni e incontrerà il 12 luglio il presidente della Regione, Francesco Rocca, proprio sui temi della salute: e senza risposte sulle assunzioni, sugli investimenti e sul Pnrr il sindacato è pronto a lanciare una mobilitazione regionale a settembre.

Il Pnrr è proprio uno dei temi principali posti da Di Cola, secondo cui il rischio è che per la sanità pubblica nel 2026 arrivi la “beffa finale: le strutture finanziate coi fondi europei non saranno gestite dal pubblico, ma resteranno chiuse perché senza personale o verranno gestite dal privato”.

Sugli investimenti del Pnrr la Cgil chiede garanzie, sottolineando l’importanza delle cure territoriali e sperando in un’inversione di tendenza sulla riduzione del personale, l’aumento della precarietà e la crescita dei posti letto nel privato. Rocca – spiega Di Cola – “ha detto che non sa come aprire le strutture” con i fondi europei e il rischio è che decida di rivolgersi ai privati.

“Siamo in una fase terribile, la Regione con i primi interventi di Rocca ha aumentato i posti letto nel privato e ha bloccato le assunzioni: siamo in codice rosso”, denuncia Di Cola. Il Lazio è la “prima Regione in Italia per attività non pubblica”, i cittadini “continuano a pagare i debiti del passato” e c’è persino chi torna a parlare di “un nuovo commissariamento”.

Non c’è nessuna necessità, per il segretario della Cgil, di puntare sul privato: si tratta solamente di una “scelta politica, le assunzioni il Lazio le può fare e i posti letto da aprire ci sono”. In più a rimetterci sono anche i lavoratori: “Nel privato le aziende fanno profitti e il personale ha condizioni peggiori, un infermiere nel privato guadagna il 30% in meno che nel pubblico”.

In Campania l’85% delle prestazioni in regime di convenzione

In Campania l’85% delle prestazioni sanitarie pubbliche sono erogate da strutture private convenzionate. Il tetto di spesa mensile, però, si esaurisce nella prima settimana. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: liste di attesa fino a 12 mesi per un esame o una visita specialistica.

Per le strutture private e il sistema intramoenia diventa uno schema win-win: i fondi “di struttura” pubblici e le visite a pagamento se vuoi farti curare o devi fare un esame. Anche in questa regione Federconsumatori ha lanciato la campagna nazionale “Stop liste di attesa” e denuncia “dati disomogenei e poco trasparenti”: “dentro queste opacità si annidano disservizi e fenomeni distorsivi che orientano la domanda di salute verso servizi privati o prestazioni in regime intramurario che la regione Campania ha già segnalato alle aziende sanitarie”.

Ad alzare la voce è anche Cittadinanzattiva Campania: “Come associazione siamo a favore di una sanità pubblica – dichiara il segretario Lorenzo Latella – e in Campania c’è una sperequazione del ruolo del privato accreditato perché con i dieci anni di commissariamento era impossibile svolgere quelle prestazioni pubbliche che sono stati delegate al privato accreditato. Non è possibile mantenere in piedi un sistema dove un soggetto privato che, anche se svolge una funzione pubblica, deve garantire la tenuta dell’intero sistema. La Regione fa bene a ridimensionare l’apporto dei privati ma lo fa in malo modo perché non ha curato una transizione per la riappropriazione delle prestazioni nel pubblico. Poi la gestione dei tetti del budget provoca una situazione di stallo per le prestazioni e il conseguente aumento delle liste di attesa”.

Di fatto per risolvere in tempi brevi i tempi di attesa bisogna aumentare i tetti di spesa mensili per le strutture private. All’interno del consiglio regionale il Movimento 5 Stelle ha prodotto un dossier dove si punta il dito contro le tre delibere della Giunta regionale 599/2021, 209/2022 e 210/2022 che “hanno determinato un peggioramento dell’accessibilità a prestazioni diagnostiche essenziali di cui alle nomenclature LEA”.

Secondo il consigliere 5 Stelle Gennaro Saiello “costringere i cittadini in difficoltà a ricorrere ai centri convenzionati privati è inaccettabile. Se il servizio sanitario regionale in Campania è allo stremo, l’unico responsabile è il governatore, che ha adottato una politica di sistematico smantellamento della sanità pubblica in favore di quella privata.

Le prestazioni fornite dal privato convenzionato sono attualmente circa l’85% del totale. Uno squilibrio che denunciamo da tempo e che andrebbe riequilibrato con assoluta urgenza”. E poi aggiunge: “Altra grave emergenza riguarda i medici di base. Lo studio Agenas ha evidenziato che la nostra regione tra il 2019 ed il 2021 ha perso 396 medici di famiglia”.

Di Antonio Murzio, Stefano Rizzuti e Giuseppe Manzo