Sanità da codice rosso. Casse vuote e medici in fuga

Il Ssn è ormai in “codice rosso”. Sono lontani i tempi in cui la Sanità pubblica italiana veniva descritta come un modello a cui ispirarsi.

Sanità da codice rosso. Casse vuote e medici in fuga

Sono lontani i tempi in cui la Sanità pubblica italiana veniva descritta come un modello a cui ispirarsi. Un’eccellenza che necessiterebbe di continui investimenti e che invece viene costantemente mortificata dalla politica a suon di tagli alle risorse disponibili che rischiano di renderlo incapace di rispondere alle prossime sfide sanitarie, al punto che in molti sollevano il dubbio che si stia cercando di favorire la sanità privata.

Il Servizio sanitario nazionale è ormai in “codice rosso”. Sono lontani i tempi in cui la Sanità pubblica italiana veniva descritta come un modello a cui ispirarsi

Esemplificativo di quanto sta accadendo è la situazione del Servizio sanitario nazionale (Ssn) che è ormai in “codice rosso” a causa delle numerose ‘patologie’ di cui soffre da tempo: l’imponente sotto-finanziamento, la drammatica carenza di personale, le crescenti diseguaglianze territoriali e l’inesorabile avanzata del privato. Una crisi di sostenibilità senza precedenti con “un Ssn vicino al punto di non ritorno: tanto che il diritto costituzionale alla tutela della salute nell’indifferenza di tutti i Governi che si sono fin qui succeduti si sta trasformando in un privilegio per pochi” è quanto emerge dal resoconto della Fondazione Gimbe sulla Sanità pubblica, presentato nel corso della 15a Conferenza nazionale a Bologna.

Cartabellotta: “Da oltre dieci anni assistiamo all’assenza di visione e strategia politica a supporto della sanità pubblica”

“Per la nostra democrazia non è più tollerabile che universalità, uguaglianza ed equità, i principi fondamentali del Ssn, siano stati traditi e ora troneggino parole chiave come: infinite liste di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze di accesso alle prestazioni sanitarie, inaccessibilità alle innovazioni, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata, rinuncia alle cure, riduzione dell’aspettativa di vita” ha spiegato Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe. “Da oltre dieci anni assistiamo all’assenza di visione e strategia politica a supporto della sanità pubblica, in un immobilismo che si limita ad affrontare solo problemi contingenti: per questo abbiamo elaborato il Piano di rilancio del Servizio sanitario nazionale” conclude Cartabellotta.

Difficile dargli torto visto che al momento, la Nota di Aggiornamento del Def nel triennio 2023-2025 prevede una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/Pil che nel 2025 precipita al 6%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. Drammatico anche il dato sulla spesa pubblica pro-capite sostenuta nel nostro Paese nel 2021, pari a 3.052 dollari, che risulta molto inferiore alla media Ocse che si assesta sui 3.488 dollari. Non va meglio rapportando il dato italiano con quello dei Paesi Ue visto che “15 Paesi investono di più in Sanità, con un gap che va dai 285 dollari della Repubblica Ceca ai 3.299 dollari della Germania” e nemmeno raffortandolo con quello relativo alla spesa pubblica dei Paesi del G7 in fatto visto che dal 2008 siamo fanalino di coda con distanze ormai incolmabili.

Dal Governo non arrivano risposte, se non un ulteriore depotenziamento della sanità pubblica

La cosa peggiore è che all’orizzonte non si intravede la benché minima luce. Anzi le recenti mosse del governo di Giorgia Meloni sembrano andare in direzione contraria, con un ulteriore depotenziamento della sanità pubblica. A farlo capire è lo stesso Cartabellotta che chiede di fare “attenzione alle autonomie differenziate che rischiano di dare il colpo di grazia al Ssn”. Un dubbio legittimo e condiviso da numerosi esperti e anche dal Movimento 5 Stelle che da tempo mette in guardia dalle storture che potrebbero crearsi dando maggiore autonomia ai territori. Soltanto l’11 marzo scorso a lanciare l’allarme durante una conferenza ad hoc sono stati Massimo Villone, professore emerito di Diritto Costituzionale alla Federico II, e l’ex presidente della Camera Roberto Fico.

Un appuntamento in cui il costituzionalista ha detto chiaramente che “l’autonomia differenziata può violare principi costituzionalmente garantiti” aggiungendo che evidentemente “l’intenzione è spaccare il Paese e privilegiare alcune regioni a danno di altre”. Dello stesso avviso Fico secondo cui le destre stanno sbagliando tutto visto che “noi dovremmo fare il processo opposto, unificando il paese e fare sistema tra nord e sud. Si devono fare dei piani integrati di sviluppo territoriale. Ogni territorio ha delle peculiarità e delle capacità e vanno sviluppate con investimenti e con una visione che sia lungimirante”.

Entro il 2050 potrebbero esserci 10 milioni di morti ogni anno nel mondo a causa della farmacoresistenza

Il problema è che la pandemia sembra non aver insegnato nulla alla politica italiana che rischia di essere sempre meno preparata alle sfide che verranno. Una su tutte è quella relativa alla piaga sociale dell’antibiotico resistenza (Amr) che, secondo lo European centre for disease prevention and control (Ecdc), in Italia causa ogni anno 11 mila decessi a fronte delle 36mila vittime complessive che si registrano in tutta l’Ue. Un dato che secondo quanto emerge dal V Forum Amr organizzato dall’Associazione delle imprese del farmaco Farmindustria, è destinato a peggiorare visto che entro il 2050 potrebbero esserci 10 milioni di morti ogni anno nel mondo a causa della farmacoresistenza.

Questa “è una pandemia dilagante, più che silente, che richiede strategia e una visione organica e ampia rispetto alle dimensioni in cui si scarica, quelle legate all’uomo, agli animali e all’ambiente” spiega Marcello Cattani, presidente Farmindustria, nel suo intervento al forum. “Per fare questo abbiamo necessità di lavorare di concerto, dandoci una strategia che vada nella direzione, soprattutto se pensiamo a vaccini e antibiotici, di darci flessibilità e capacità di attrarre investimenti perché sappiamo come gli oltre 700 farmaci portati finora per combattere l’antimicrobico resistenza non siano sufficienti”. Secondo lui “bisogna agire subito per arginare un fenomeno con costi sociali molto elevati che si riflettono anche sull’economia”.

Parole che trovano conferma nei dati 2021 secondo cui l’Italia, pur registrando una riduzione dell’uso di antibiotici del 3,3%, continua a vantare consumi molto superiori a quelli degli altri Paesi Ue. Stando al report dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Aifa, nel 2020 il consumo complessivo di antibiotici in Italia tra pubblico e privato è stato pari a 17,1 dosi ogni mille abitanti, per una spesa complessiva pari a 787 milioni, corrispondenti a 13,29 euro pro capite. Quasi il 90% del consumo di antibiotici a carico del Ssn viene erogato in regime di assistenza convenzionata a seguito di prescrizioni del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta. Insomma una spesa che grava sulle casse già sofferenti del Ssn.