Scandalo Film commission. Fontana sapeva tutto da luglio. Il governatore si difende e dice di non sapere nulla. Ma i revisori lo avvisarono delle irregolarità

Più passano le settimane e più fanno rumore i silenzi del Pirellone sulla vicenda della compravendita gonfiata di Cormano. Se da un lato il governatore Attilio Fontana ha deciso di non commentare la vicenda di cui ieri ha detto che “per adesso è tutto talmente fumoso che sinceramente non mi sono neppure fatto un’idea”, dall’altro c’è l’inchiesta che sembra descrivere una realtà del tutto diversa. A ben vedere, infatti, gli indagati non sono affatto dei perfetti sconosciuti tanto che, si legge nelle carte, “tra le varie nomine pubbliche ricoperte” da Andrea Manzoni c’è anche quella di “componente del Consiglio sindacale dell’Agenzia di Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano”. Nomina valida “per il triennio 2019-2021” e per la quale le opposizioni hanno chiesto, fin qui vanamente, provvedimenti al governatore.

Ma a dimostrare che le cose potrebbero non stare come le racconta Fontana c’è la circostanza secondo cui le presunte irregolarità nell’acquisto del capannone da parte della Lombardia film commission erano note al Pirellone da luglio 2020 quando il Collegio dei revisori dei Conti della Regione Lombardia, per giunta con voto unanime, invitava “l’Ente a valutare i profili di un’azione di responsabilità nei confronti di chi ha agito male e nei confronti di chi non ha vigilato”. Parole cadute nel vuoto tanto che Fontana, ieri come oggi, prende tempo in attesa di leggere gli atti dell’inchiesta di cui si dice all’oscuro. Eppure questo silenzio appare complicato da giustificare alla luce dei due verbali dove gli venivano segnalate movimentazioni sospette da parte della Lombardia film commission, all’epoca presieduta da Alberto Di Rubba.

Si tratta di due atti, uno del 26 maggio 2020 e l’altro del 24 luglio scorso, redatti dai tre membri del Collegio dei Revisori dei conti della Regione, ossia Maria Paglia, Vincenzo Monforte e Stefano Sandroni. Nel primo vengono segnalate alcune presunte storture tra cui l’anomala scelta della Lombardia film commission del “pagamento anticipato, a titolo di caparra confirmatoria, dell’intero importo di 800mila euro nel dicembre 2017 per l’acquisto dell’immobile di Cormano senza ottenere alcuna garanzia sull’importo pagato”. Un sospetto piuttosto circostanziato per il quale i revisori hanno chiesto al Pirellone di acquisire gli atti dell’organismo di vigilanza della Lombardia Film Commission, di cui era presidente Antonio Gennari ossia l’avvocato scelto da Di Rubba, che aveva dato “parere favorevole” all’acquisto.

Nel secondo verbale i revisori alzano il tiro e chiedono l’azione di responsabilità. Così alla luce dell’inchiesta, i sospetti dei revisori appaiono più che giustificati. Dalle carte emerge anche che l’unico componente dell’organismo di vigilanza della Lombardia Film Commission, all’epoca della compravendita di Cormano, avrebbe avuto rapporti economici con società partecipate o amministrate dai tre contabili della Lega finiti ai domiciliari. In una delle informative, infatti, si legge che dall’analisi delle “movimentazioni finanziarie registrate sul conto corrente personale” di Gennari si evince “l’esistenza di rapporti economici attivi anche con Di Rubba” e “risalenti al maggio 2019”. Ma c’è di più. Sono emersi anche “altri elementi indicativi della peculiare vicinanza (economica) di Gennari a Di Rubba e Manzoni”. Prima e durante l’incarico alla Lombardia film commission, scrivono i finanzieri nell’informativa, Gennari “ha percepito compensi (redditi da lavoro autonomo) anche da altre società riconducibili a persone collegate al partito di riferimento (tra cui Scillieri, Manzoni e Di Rubba)”.