Scaricabarile su Salvini. L’inchiesta sulla nave Diciotti trasloca da Palermo a Catania. Il ministro: “Chiudetela qui e fatemi lavorare”

Incompetenza territoriale. Il reato di sequestro di persona sarebbe avvenuto in acque etnee

Il vecchio gioco dello scaricabarile va forte. L’inchiesta, che vede Matteo Salvini indagato per sequestro di persona, trasloca da Palermo a Catania. Tutto, però, era partito dalla Procura di Agrigento. Il Tribunale dei ministri si è tirato fuori dalla vicenda che riguarda il trattenimento sulla nave Diciotti dei migranti, dichiarando l’incompetenza territoriale. Così gli atti sono stati trasmessi alla Procura. Senza voler evocare il complotto o le solite ruggini tra politica e magistratura, non c’è dubbio che qui c’è un accanimento nei confronti del leader del Carroccio. Prima tanto rumore per reati cercati col lanternino, poi il gioco dello scaricabarile. Il presidente del Tribunale dei ministri Fabio Pilato ha spiegato che, dopo aver compiuto le procedure previste, nel rispetto della legge ha dovuto inviare gli atti al procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Carte che sono già arrivate sulla scrivania dei colleghi di Catania ma che non si fermeranno lì.

UNA BELLA ROGNA – Infatti, l’ufficio inquirente etneo trasferirà quel fascicolo al Tribunale dei ministri competente. In via preliminare dunque i giudici hanno stabilito che la presunta condotta illecita del ministro sarebbe partita nelle acque etnee, dove la nave è stata ferma per diversi giorni e non in quelle di Lampedusa E ancora una volta in milioni di italiani si è riaccesa la lampadina che questa vicenda sia stata un’iniziativa “politica” della magistratura. Lo dimostra il corto circuito che si è creato e che non promette bene per qualunque democrazia.

Per Salvini, dopo l’evidente rimpallo di responsabilità, sembra di stare al “gioco dell’oca”. “Incredibile, continua l’inchiesta su di me: sarei un sequestratore (rischio 15 anni di carcere) per aver fermato in mare una nave carica di immigrati. Ora l’indagine, partita da Agrigento, passerà da Palermo a Catania. Ma chiudetela qui e lasciatemi lavorare. Più mi indagano e più mi fanno venire voglia di lavorare e difendere i confini di questo splendido Paese”. Insomma, questa inchiesta rimane una bella gatta da pelare. La questione della competenza territoriale era il primo nodo da sciogliere. Nei giorni scorsi il Tribunale dei ministri ha sentito alcuni funzionari del Viminale e ufficiali della Guardia costiera con lo scopo di ricostruire la catena di comando attraverso cui passò il divieto di sbarco dei migranti trattenuti a bordo della Diciotti in modo da stabilire con precisione il luogo in cui il reato sarebbe stato consumato.

Un problema di non facile soluzione dal momento che il divieto del Viminale non è mai stato formalizzato attraverso ordini scritti. E alla fine i giudici hanno deciso di passare la patata bollente ai colleghi di Catania perché lì la nave era rimasta ormeggiata al porto per diversi giorni. Qui, la magistratura rischia un clamoroso autogol se si dovesse mai arrivare a una condanna. Però sarà ugualmente eclatante se tutto dovesse finire a tarallucci e vino perché vorrebbe dire che tra i nostri pm non c’è sempre un sereno metro di giudizio. E il passaggio di carte non fa ben sperare.