Jobs Act, scontro feroce nel Pd

di Lapo Mazzei

Alla fine vedrete che ce la farà. E, a suo modo, sarà un risultato storico. Perché a furia di tirare, anche le corde più robuste, prima o poi, si spezzano. E nel caso in questione a rompersi potrebbe essere la separazione in casa delle tre maggiori sigle sindacali. Grazie all’effetto Matteo Renzi, attorno ai temi economici, si torna a respirare aria di sciopero generale unitario. Un “risveglio” in contemporanea di tutti i sindacati. Dopo la proclamazione della mobilitazione da parte della Cgil per il 5 dicembre, tocca alla Uil proclamare lo sciopero per contrastare le politiche del governo su legge di Stabilità, Jobs Act e statali. Domani, prima dell’apertura del congresso confederale, è previsto un incontro con i leader di Cgil, Cisl e Uil per definire una data comune e le modalità dell’agitazione. Un riavvicinamento tra le diverse sigle sindacali maturato negli ultimi giorni di fronte alle mancate risposte del governo, al punto da far commentare al deputato di Sel Giorgio Airaudo su Twitter la situazione con un lapidario “Ed ora Matteo #Renzi ha “convinto anche Uil allo sciopero generale.. Bingo”. Vedrete che ce la farà.

IL DIBATTITO NELLA MINORANZA
Nel frattempo l’azione di rottamazione del presidente del Consiglio sembra essersi definitivamente impantanata, tanto che sono tornati di moda i riti e i miti della Prima repubblica, con vertici di maggioranza e richieste di chiarimento, minaccia di dimissioni e voti contrari. E visto che questa sembra essere la direzione verso la quale hanno deciso di virare le opposizioni, anche la minoranza Dem ha scelto di far sentire la propria voce. Sul tavolo i temi sono sempre gli stessi. Si va dal bonus degli 80 euro,a quello bebè ai più poveri, passando per le misure per la messa in sicurezza del territorio,senza dimenticare il Mezzogiorno e il contrasto alla precarietà. Sono questi alcuni dei punti degli otto emendamenti presentati dalla minoranza Pd (Giuseppe Civati, Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre, Margherita Miotto, Gianni Cuperlo) e firmati da una trentina di deputati. Modifiche che non sono piaciute ai renziani, soprattutto sul profilo del metodo. Ad attaccare è Ernesto Carbone, responsabile innovazione della segreteria Pd: “Senza entrare nel merito dei contenuti, è davvero incredibile che parlamentari, che fino a prova contraria fanno parte di un gruppo politico, convochino una conferenza stampa per illustrare emendamenti alla legge di stabilità pensati e redatti senza tener conto di una discussione nel gruppo e nella commissione competente”, dice a tal proposito Carbone. E aggiunge: “Altro che metodo democratico, altro che discussione e confronto interno. A parole si dice di volere il bene della casa comune, nei fatti ci si comporta come se non se ne facesse parte”. “Vogliamo provare a correggere il segno della politica economica del governo che a nostro avviso non affronta in modo adeguato i drammatici problemi che il paese ha di fronte”, ha prontamente replicato Fassina nel corso della conferenza stampa, “il primo obiettivo è il contrasto alla povertà e all’impoverimento che riguarda fasce sempre più larghe del ceto medio. Utilizziamo un indicatore di situazione economica equivalente per distribuire le risorse del bonus Irpef, i famosi 80 euro, e per distribuire le risorse del bonus bebè, che in base alla legge di stabilità del governo viene destinato anche a chi ha 90mila euro di reddito l’anno. Noi riteniamo che c’è un’emergenza povertà e vorremmo concentrare le risorse esistenti su chi ne ha più bisogno, tenuto conto dei figli a carico e della condizione economica della famiglia”. Insomma non è più un fatto ideologico, ma pratico. Dove la contrapposizione è sulle priorità e non sull’affidabilità. Ma sì, vedrete che ce la farà a compattarli tutti.