Scontro frontale sul rigore

Di Sergio Castelli

Da una parte Germania e Olanda. Dall’altra Italia e Francia. Lo scontro sulle regole di bilancio ormai è totale. Perché se il Belpaese e quello transalpino le vorrebbero ammorbidire, olandesi e tedeschi non sono proprio d’accordo e nella giornata di ieri Mark Rutte, il premier olandese, è sceso in campo definendo bloccato il tentativo di cambiare le regole. Davanti al Parlamento dell’Aja, secondo quanto riferito dal quotidiano locale De Telegraaf, Rutte è stato molto chiaro: “Non c’è da preoccuparsi, le regole non sono affatto cambiate. Spetta alla Commissione monitorare l’applicazione di tali norme”. Ma non è tutto perché per marcare le distanze in maniera netta ed inequivocabile da Italia e Francia il premier olandese ha sottolineato: “L’Olanda è in forte collaborazione con Germania e Finlandia”. Un intervento duro che ha reso necessaria la precisazione del ministro delle Finanze, Jeroen Dijsselbloem, intervenuto all’emittente Rtlz: “Le regole di bilancio restano come sono ma sui criteri c’è una certa flessibilità: a Paesi che hanno il deficit pubblico superiore al 3%, in condizioni economiche negative, si potrà dare più tempo per ridurlo”.

La linea Maginot del 3%
Dopo la dura presa di posizione del premier olandese le rassicurazioni che il premier Matteo Renzi riporta in Italia dai suoi viaggi in Europa non è che siano poi ancora così credibili. Il presidente del Consiglio vorrebbe farci credere di avere sotto scacco la cancelliera tedesca Angela Merkel. Altro che. Le aperture sulla linea Maginot dello sformento del 3% sul rapporto deficit-pil sono più di forma che di sostanza. E poco importa se già settimane fa il governo italiano ha consegnato un dettagliato documento al presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, per sottolineare che “è arrivato il tempo di ripensare una più efficace strategia politica per riportare la crescita, creare posti di lavoro e promuovere la coesione”. Un documento, probabilmente ritenuto troppo generico, e che non ha prodotto chissà quale reazione in un Europa che reputa quel limite davvero invalicabile. Indi per cui occorre soltanto adeguarsi. È vero che il margine di flessibilità esiste, come ribadito più volte dallo staff della Merkel, ma si tratta soltanto di una questione legata ai tempi di rientro entro la soglia prefissata. Non c’è da aspettarsi niente di nuovo.Gli europeisti duri e puri sono convinti che la credibilità dell’Europa passi per il rispetto delle regole.

Quell’asse italo-francese
Che Italia e Francia siano convinte della necessità di una riflessione sui vincoli posti dall’Europa non è certo un mistero. Sull’esistenza di un vero e proprio asse, però, nel corso degli ultimi mesi sono giunte conferme e più di qualche smentita. Perché almeno nelle dichiarazioni ufficiali meglio non mettersi troppo di traverso rispetto alla linea dettata dalla Germania. Fatto sta che solo qualche tempo fa Renzi sosteneva che non era necessario “convincere François Hollande circa la necessità di cercare un cambiamento di politica economica in Ue perché su questo punto c’è “condivisione”. Se non si può parlare di asse poco ci manca. Negli ultimi anni la concessione di sforare è stata già fatta pure a Spagna, Portogallo e Grecia. Il fronte del Nord è tornato a compattarsi anche in vista della battaglia per le nomine economiche. E dalla Germania arriva un’altra chiusura per quanto riguarda il sostegno all’occupazione: il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ha criticato chi chiede nuovi fondi. “Dei 6 miliardi messi a disposizione, troppo pochi secondo i critici, non e’ stato usato un euro. Il problema non sono i grandi fondi, ma l’implementazione” delle riforme.

SCONTRO APERTO COL PPE. RENZI NON VUOLE LEZIONI

Di Lapo Mazzei

Venti minuti d’intervento che opzionano i prossimi vent’anni. Perché quello che si è celebrato ieri a Strasburgo non è l’inizio del semestre italiano di presidenza della Ue ma l’avvio del ventennio renziano, avendo già portato a termine la marcia su Roma con la presa di Palazzo Chigi. E che il cerchio si sia chiuso, aprendo la nuova era, lo dimostra un passaggio dell’intervento di Matteo Renzi. “La prima crisi finanziaria è stata a Firenze e io mi onoro di essere stato sindaco della mia città. Le famiglie proprietarie delle banche pagavano gli Stati per salvare gli Stati. Da quella crisi finanziaria nacque il Rinascimento. Adesso bisogna educare al bello”. Il bello, secondo il disegno tratteggiato nell’aria di Strasburgo da LoRenzi il Magnifico, deve ancora arrivare. Magari sotto forma di manovra correttiva o nuove tasse, o altro ancora. Ma tutto questo lo scopriremo solo vivendo. C’è da sottolineare come l’intervento del premier sia stato colmo di metafore e riferimenti alla letteratura classica. Un discorso dal quale Renzi ha scelto di tenere fuori gli obiettivi che l’Italia intende raggiungere, e quindi i contenuti, per dare spazio ad argomenti di carattere più emozionale: “Lascio alla presidenza il documento scritto che affronta tutti i temi che nel semestre italiano vogliamo portare all’attenzione delle istituzioni”, premette il premier, “e provo a domandare a me stesso e a tutti voi cos’è il dibattito sull’Ue dopo la crisi che stiamo vissuto e stiamo vivendo”.

Quante metafore
Il presidente del Consiglio, com’è nel suo stile, ha esordito con una metafora: “Se l’Europa facesse oggi un selfie, verrebbe fuori il volto della stanchezza. La vera e grande sfida è ritrovare l’anima dell’Europa”. Solo a quel punto l’uomo del nuovo Rinascimento italiano entra nell’argomento che più gli sta a cuore, quello delle regole. “Noi non chiediamo di cambiare le regole, ma diciamo però che rispetta le regole chi si ricorda che abbiamo firmato insieme il patto stabilità e crescita. La richiesta di crescita come elemento fondamentale della politica economica europea serve all’Europa e anche all’Italia: senza crescita l’Europa non ha futuro”. L’Italia, da parte sua, sa che deve “fare le sue riforme, cambiare la burocrazia, il sistema fiscale, le istituzioni. Sappiamo che prima di tutto dobbiamo chiedere a noi la forza di cambiare per essere credibili”. E siccome questo è il nodo di tutto lo scontro con il Partito popolare europeo è inevitabile. “L’Europa è forte se gli Stati sono forti e lo sono se fanno i compiti a casa” e “rispettano le regole di bilancio“, è la risposta del capogruppo del Ppe, Manfred Weber, al premier italiano. Ad un affondo deciso ha fatto da contraltare una replica altrettanto dura. “Sono rimasto colpito dai pregiudizi che ci sono sull’Italia”, esordisce nella sua replica il premier Renzi. Una risposta netta quella che il premier italiano riserva al capogruppo del Ppe, Weber: “Se qualcuno pensa di fare lezioni di morale ha sbagliato posto. Se Weber parlava a nome del suo gruppo politico, gli ricordo che un partito appartenente al gruppo ha guidato l’Italia per molti anni”, ha detto Renzi riferendosi ai governi guidati da Silvio Berlusconi. Secondo affondo: “Se, invece, Weber parlava a nome della Germania”, continua Renzi, “vorrei ricordare che durante l’ultima presidenza italiana ci fu un Paese cui non solo fu concessa flessibilità ma anche di violare i limiti, cosa che ha consentito alla Germania di crescere”.

A ruota libera
Renzi ha spaziato. In primis sul problema delle tragedie del mare: ”Stiamo cercando di far fronte ai flussi migratori con operazioni italiane che riusciremo a far meglio attraverso Frontex plus”. Poi il capitolo Ucraina: “Occorre ascoltare la voce di libertà”. Infine, anche se è stato il colpo teatrale d’inizio, il nuovo mantra renziano. Oggi in Europa “c’è una generazione nuova” che “ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, di meritare l’eredità” dei padri dell’Europa, spiega Renzi prendendo ad esempio il figlio di Ulisse, personaggio che nella narrazione omerica ebbe l’ingrato compito di custodire la casa del padre a Itaca e difenderla dalle angherie dei proci in attesa del suo ritorno. “Io non ero nemmeno maggiorenne quando c’è stata Maastricht”, ha premesso il premier spiegando che “noi non vediamo il frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma una conquista da rinnovare”. Venti minuti per i prossimi vent’anni posson bastare.