Se il Pd perde, Matteo non lascia. Renzi chiude la sfida in difesa. Ora il segretario Dem teme la spallata

Se il Pd perde, Matteo non lascia. Renzi chiude la sfida in difesa. Ora il segretario Dem teme la spallata in caso di débâcle

Il segretario del Pd ostenta sicurezza: “Sono assolutamente certo che lunedì mattina il Pd avrà più voti di Forza Italia e della Lega, la vera partita per il primo posto è tra noi e i Cinque Stelle”. Considerazione quella di Matteo Renzi che, stando agli ultimi sondaggi pubblicati prima dello stop imposto dalla legge sulla par condicio, è tanto ovvia quanto scontata. Il problema, però, è che il Rosatellum, la legge voluta proprio dal Partito democratico, favorisce le coalizione rispetto ai partiti. E, stando sempre a quegli stessi sondaggi, l’alleanza di Centrodestra avrà molti più voti e seggi della coalizione di Centrosinistra. Insomma, al di là delle battute da campagna elettorale, al Nazareno hanno ben chiaro che il 5 marzo ci sarà da valutare solo l’entità di una sconfitta annunciata.

Exit strategy – Una consapevolezza che ormai anche Renzi ha maturato. Come dimostra, d’altra parte, l’ammissione che sì, per il Pd potrebbe profilarsi un futuro all’opposizione nella prossima Legislatura. E non è un caso che ieri il leader del Partito democratico abbia messo le mani avanti. Qualunque sia l’esito delle elezioni “resterò segretario fino al 2021, sono le primarie a decidere il segretario del Pd”, assicura ospite di Omnibus su La7. Insomma, un finale di campagna elettorale sulla difensiva. Un modo per segnare il territorio, per ricordare che le Politiche non sono il Congresso del Pd, all’interno di un partito che, in caso di una sconfitta pesante – l’assicella della débâcle è fissata intorno alla soglia del 20% – potrebbe diventare teatro di guerre e rese dei conti interne. Con i vari Franceschini, Orlando ed Emiliano che potrebbero giocare di sponda per dare la ‘spallata’ alla leadership di Renzi. Che, d’altra parte, ha bene in mente questo scenario come altamente probabile. Per questo, a poche ore dall’appuntamento con le urne, per la prima volta ha aperto all’ipotesi che, a guidare il prossimo esecutivo, possa essere ancora il premier in carica, Paolo Gentiloni: “Se sarà incaricato dal presidente della Repubblica, avrà il mio più pieno sostegno”. Se non un endorsement, come quelli inequivocabili di Romano Prodi, Giorgio Napolitano, Walter Veltroni ed Enrico Letta, quanto meno  l’ammissione di essere disposto a farsi da parte, mettendo nel cassetto l’ambizione di essere lui il prossimo presidente del Consiglio. Una sorta di passo di lato per fare largo a Gentiloni, “fit to lead Italy”, secondo l’Economist, che proprio ieri ha promosso il premier in carica  a guidare il Governo che verrà, magari con il sostegno di una grande coalizione.

Paolo il magnifico – Una sorta di exit strategy, per Renzi, se il verdetto delle urne dovesse essere disastroso per il Pd. A quel punto, la conferma di Gentiloni sarebbe l’unico modo per assicurarsi un posto al tavolo nella partita per la formazione del prossimo Esecutivo. Diversamente, la sconfitta sarebbe totale. Nell’ultima giornata prima del silenzio elettorale, giocata per buona parte in difesa, Renzi prova a tornare all’attacco mettendo nel mirino, ancora una volta, il Movimento 5 Stelle. “A Di Maio dico: ‘fai pace con te stesso’. Se indichi all’Istruzione uno della Buona scuola e all’Agricoltura una nostra terza fila è un boomerang per te”. Lasciando gioco facile, però, che il Pd non ha neppure chiaro chi sarà il premier in caso di vittoria. “Stamattina quel signore che guidava il treno, Renzi, ha già detto di essere disposto a farsi da parte: è finita”, gli risponde proprio Di Maio. Per il finale occorrerà attendere il 5 marzo. Dopo quella che, per Renzi, sarà forse la notte più lunga della sua carriera politica.