Separazione delle carriere: dopo il via libera scontato, la battaglia si sposta sul referendum

Scontato il via libera definitivo del Senato alla separazione delle carriere. Ora la battaglia si sposta sul referendum confermativo.

Separazione delle carriere: dopo il via libera scontato, la battaglia si sposta sul referendum

Riceverà domani il via libera definitivo del Senato la riforma che introduce in Costituzione la separazione delle carriere dei magistrati. A Palazzo Madama si è conclusa la discussione generale, al termine della quale il Guardasigilli ha preferito non replicare denigrando le critiche arrivate dall’opposizione. Carlo Nordio le ha derubricate a “solita litania petulante”.

“Non vedo che cosa avrei potuto dire di nuovo”, ha detto. Ha poi replicato con un “Valeva un candelabro…” ai giornalisti che gli domandavano delle parole del presidente del Senato Ignazio La Russa che aveva detto: “Giusta la separazione delle carriere ma forse il gioco non valeva la candela…”.

Separazione delle carriere, la battaglia si sposta sul referendum

Ma è già il referendum confermativo a tenere banco nel dibattito politico. L’Anm è pronto a schierarsi. Il suo presidente, Cesare Parodi, ha invitato i cittadini “a non rinunciare nonostante tutto alle garanzie e ai diritti e all’indipendenza di una magistratura in grado di applicare la legge in maniera corretta e puntuale. Non abbandonate la magistratura che sa riconoscere i suoi sbagli, ma che è ferma nell’applicare la legge”.

Dal M5S al Pd allo studio la strategia referendaria

Pd, M5S e Avs stanno già scaldando i motori. I dem già nella giornata di martedì hanno tenuto una prima riunione per mettere a punto la strategia referendaria. “Se andiamo nel merito la separazione delle carriere c’era già. Stiamo parlando di venti persone su 9000 magistrati che in un anno passano da un ruolo all’altro. Ma veramente questo rende necessaria una riforma della Costituzione o forse il motivo è che questa destra vuole incidere sugli equilibri che la Costituzione mette a garanzia dei diritti dei cittadini?”, ha detto Elly Schlein.

“Con questa riforma in sostanza predisponiamo che i pubblici ministeri non diano fastidio al governo, non tanto ai politici, che già sarebbe gravissimo, ma addirittura al governo di turno”, ha detto il presidente del M5S, Giuseppe Conte.

Che in vista del referendum ha annunciato “una campagna per spiegare ai cittadini che questa è una riforma pericolosa” perché “si vuole perseguire il disegno di Licio Gelli e di chi vuole mettere” i pubblici ministeri “sotto il controllo dell’esecutivo”.

La maggioranza non vuole un voto sul governo Meloni

Il Guardasigilli ha auspicato una campagna sul merito e non sul governo Meloni, come fu per Renzi nel 2016.  “Giorgia Meloni non ha mai detto che se perde il referendum lascia la politica. Lei ha detto di aver promesso una riforma agli italiani. L’ha fatta, poi saranno gli italiani a valutare. Noi non chiederemo mai un voto agli italiani sulla Meloni, noi al referendum chiederemo agli italiani, anche a quelli che hanno in antipatia Meloni o me, di valutare se la giustizia va bene così com’è o va riformata”, ha detto Giovanni Donzelli di FdI.

Vuole giocare d’anticipo la maggioranza. “Noi saremo i primi a promuovere il referendum sulla riforma della giustizia, perché vogliamo che i cittadini si pronuncino. La Costituzione prevede che il referendum costituzionale possa essere richiesto da un quinto dei parlamentari ed è quello che faremo come centrodestra. La giustizia deve funzionare meglio e la riforma costituzionale è un avvio”, ha detto l’azzurro Maurizio Gasparri. “Prima il referendum si farà, meglio sarà per il Paese e per l’affidabilità e credibilità della nostra giustizia”, ha detto il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto.

Non serve il quorum

Il referendum potrà essere richiesto entro tre mesi dalla pubblicazione della norma. A disciplinare le modifiche della Costituzione è l’articolo 138 della Carta che prevede che se non viene raggiunto il quorum dei due terzi in entrambe le Camere in seconda lettura (come nel caso della separazione delle carriere) si aprono le porte alla consultazione popolare. A richiedere il referendum potrà essere un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. In questo tipo di referendum, a differenza di quelli abrogativi, non è previsto il quorum.