Sette aggressioni neofasciste in un mese: l’ottobre “nero” smentisce la retorica di Giorgia Meloni sulla “violenza della sinistra”

Mentre la premier accusa la sinistra di diffondere odio, ottobre segna un’escalation di violenze di matrice neofascista in tutta Italia

Sette aggressioni neofasciste in un mese: l’ottobre “nero” smentisce la retorica di Giorgia Meloni sulla “violenza della sinistra”

A metà settembre, dal palco della convention di Vox a Madrid, Giorgia Meloni aveva detto che «la violenza è a sinistra». Un refrain ripetuto anche in Italia, dove la premier accusava l’opposizione di “minimizzare l’odio politico”. Un mese dopo, la cronaca le ha risposto da sola: ottobre 2025 è diventato l’elenco più fitto di aggressioni neofasciste degli ultimi anni.

La sequenza delle aggressioni

Il 5 ottobre, nel quartiere Esquilino di Roma, una trentina di uomini con caschi e bastoni irrompe in un bar frequentato da manifestanti appena usciti da un corteo per la Palestina. «Boia chi molla», gridano, picchiano e si dileguano. Pochi giorni dopo, durante un sit-in “Luci per la Palestina”, un medico dello Spallanzani viene colpito alla testa. La Digos definisce entrambi gli episodi «riconducibili a circuiti dell’estrema destra capitolina». Il 6 ottobre, nella stessa zona, un pub in via Leopardi è devastato da un gruppo organizzato: vetri in frantumi, arredi distrutti, scritte fasciste sui muri.

Il 18 ottobre, la violenza si sposta a Cesena. Due ragazzi, uno albanese e uno marocchino, vengono presi a calci e pugni da una quarantina di persone identificate dagli inquirenti come appartenenti a gruppi neofascisti locali. L’aggressione dura pochi minuti ma lascia i due feriti a terra, davanti a decine di testimoni.

Due giorni dopo, a Rieti, un episodio ancora più grave: il secondo autista del pullman degli ultras della squadra ospite viene ucciso, dopo tensioni sugli spalti tra le due tifoserie, con un sasso lanciato contro l’autobus in corsa sulla via del rientro. Alcuni degli arrestati, accusati di omicidio volontario, risultano legati ad ambienti dell’estrema destra.

Simboli, bersagli e silenzi

Il 25 ottobre, a Roma, il giornalista Alessandro Sahebi viene aggredito in via Merulana mentre cammina con la compagna e il figlio di sei mesi. «Volevano che mi togliessi la felpa con scritto “azione antifascista”», racconta. Lunedì successivo presenta denuncia. L’episodio provoca indignazione tra le associazioni stampa, ma nessuna parola dal governo.

Il giorno dopo, a Genova, una quarantina di uomini con caschi e spranghe entra nel liceo “Leonardo da Vinci”, occupato dagli studenti. Spaccano vetri, imbrattano muri con svastiche e gridano «viva il Duce». Gli investigatori parlano di una spedizione punitiva contro un’occupazione pro-Palestina. È il settimo episodio violento in meno di trenta giorni.

La mappa di ottobre disegna un Paese in cui la violenza politica ha una matrice riconoscibile. Le vittime sono manifestanti, studenti, giornalisti, cittadini stranieri. Gli aggressori agiscono in gruppo, spesso a volto coperto, lasciando dietro di sé un linguaggio preciso: simboli fascisti, slogan, saluti romani. Un repertorio che appartiene a un solo lato della storia.

La distanza tra la retorica e i fatti

Mentre la premier insiste nel rappresentare la sinistra come fonte dell’intolleranza, l’Italia si confronta con una realtà opposta. Le aggressioni non avvengono ai margini ma nei centri urbani, davanti a testimoni, in contesti di impegno civile. Il silenzio politico che le accompagna — nessuna condanna netta, nessun piano di contrasto — finisce per normalizzare una presenza che non è più solo nostalgica.

Ottobre 2025 è stato un mese di nomi, feriti e simboli. E nel racconto di chi lo ha vissuto, l’unico tratto comune è la certezza di essere stati scelti come bersaglio per ciò che rappresentano: antifascisti, palestinesi, stranieri, giornalisti. Tutto il contrario di quella “violenza della sinistra” evocata da Palazzo Chigi.