Sette anni agli stupratori nell’ambasciata somala. Ragazza violentata nel luogo in cui erano accampati 150 extracomunitari. Tre anni fa l’episodio che diventò il simbolo di una città diventata insicura

di Clemente Pistilli

Era il 26 febbraio 2011 quando una diciottenne romana venne struprata all’interno della ex ambasciata somala di via dei Villini. In quel periodo a Roma le violenze sessuali si susseguivano e lo stupro di quella giovane diventò il simbolo di una città insicura per le donne. Una tragedia annunciata, si disse, visto che appena due mesi prima l’Alto commissariato Onu per i rifugiati aveva chiesto una soluzione per i 150 somali che vivevano lì accampati in una situazione di degrado estremo. Muniti di protezione internazionale o no, l’allora sindaco Gianni Alemanno voleva rimpatriare tutti, mentre Laura Boldrini, all’epoca portavoce dell’Unhcr in Italia invitò le autorità a farsi carico del problema e ad avviare un percorso di integrazione. Trascorsi quasi tre anni da quel triste episodio di cronaca, è arrivata la condanna definitiva per i due somali responsabili dello stupro: sette anni di reclusione.
La diciottenne, dopo una discussione con i genitori, si era allontanata da casa, aveva incontrato un somalo alla stazione Termini, era nata una simpatia e si erano recati insieme nell’ex ambasciata. All’improvviso spuntarono fuori due somali che erano lì accampati, Kadar Adan e Yahya Abdi, entrambi 24enni, che nonostante le resistenze del connazionale aggredirono la diciottenne, la fecero sbattere contro una statua, la palpeggiarono con violenza e la stuprarono a turno, salvo poi essere bloccati da alti somali che vivevano in quello che era diventato un ghetto, abbandonato nel 1990 dopo la caduta del Governo di Mogadiscio, privo di acqua, riscaldamento e luce, invaso da topi e sporcizia. La diciottenne, seminuda e scalza, scappò e venne soccorsa da un turista tedesco. I due somali vennero arrestati e l’ex ambasciata chiusa e sgomberata.
Gli imputati hanno cercato in ogni modo di difendersi, sostenendo che le testimonianze dei connazionali non erano attendibili, che la ragazza si era ferita da sola cadendo, che erano state trovate tracce di liquido seminale anche sul cappotto della diciottenne, ma non sulla maglietta che indossava, e che comunque avevano almeno diritto a uno sconto, visto che erano disagiati e il fatto era avvenuto in un contesto degradato. Niente da fare: sette anni confermati in tutti i gradi di giudizio.