La Sveglia

“Si può entrare a Gaza”: il falso che copre i crimini

C’è chi ripete che “i giornalisti possono entrare a Gaza“, come se la verità fosse una libera passeggiata tra le macerie. La realtà, invece, si chiama censura militare. Dal 7 ottobre 2023 nessun giornalista può mettere piede nella Striscia senza essere accompagnato dall’IDF. Nessuna inchiesta autonoma, nessuna voce libera. Solo tour guidati dalla propaganda bellica.

La Foreign Press Association – che rappresenta oltre 370 reporter internazionali – ha impugnato il divieto davanti alla Corte Suprema israeliana. Ma la risposta è stata una retorica di “rischi” e “circostanze eccezionali”, mentre le udienze vengono rimandate di mese in mese. Intanto, su 139 ingressi autorizzati, tutti sono stati filtrati dall’IDF: senza scorta militare, Gaza è zona proibita.

Nel frattempo, l’esercito israeliano decide chi può raccontare la guerra e come. I giornalisti locali sono ammessi più spesso perché parlano agli israeliani, mentre ai corrispondenti stranieri si chiudono le porte, “per motivi di sicurezza”. Il paradosso è evidente: in Ucraina i reporter entrano liberamente, anche al fronte. In Siria, in Iraq, in Afghanistan, i giornalisti si sono assunti i propri rischi. Ma a Gaza no. A Gaza solo silenzio autorizzato.

È così che si costruisce l’impunità. Negando l’accesso, si nega la documentazione indipendente. Si nega la possibilità di verificare crimini. Si nasconde la guerra dietro un permesso negato. E chi ha il coraggio di chiamarla censura, viene accusato di ostilità.

Chi ripete che “i giornalisti possono entrare” mente. O peggio: legittima la menzogna. Perché l’informazione, quella vera, non viaggia mai con la scorta armata di chi la teme.