Sistema mafioso in Lombardia. È scontro tra Procura e Tribunale

Per i pm della Dda di Milano c'è un'alleanza tra Cosa nostra, Camorra e 'ndrine. Ma per il gip mancano le prove.

Sistema mafioso in Lombardia. È scontro tra Procura e Tribunale

La Direzione distrettuale antimafia di Milano ricostruisce il “sistema” che vede alleate in Lombardia ‘ndrangheta, mafia e camorra e chiede 154 arresti, ma il giudice per le indagini preliminari Tommaso Perna sbriciola la tesi accusatoria, disponendo solo undici misure cautelari in carcere e sequestri di beni per 225 milioni, molto minori di quelli invocati dalla Procura. Per i magistrati che hanno condotto le indagini, la procuratrice aggiunta di Milano Alessandra Dolci e la pm Alessandra Cerreti, il sistema lombardo ha “una struttura confederativa orizzontale” dove “i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello”.

Per i pm della Dda di Milano c’è un’alleanza tra Cosa nostra, Camorra e ‘ndrine. Ma per il gip mancano le prove

Gli inquirenti nella maxi imputazione elencano nomi e famiglie delle tre mafie che avrebbero preso parte al patto: per Cosa Nostra, tra le altre, la “famiglia Fidanzati”, il “mandamento di Trapani” con “al vertice Messina Denaro”, e i Rinzivillo; per la ‘ndrangheta la “locale di Legnano-Lonate Pozzolo”, tra cui la ‘vecchia conoscenza’ della ‘ndrangheta lombarda Vincenzo Rispoli, la cosca Iamonte e Antonio Romeo; per la camorra il gruppo “Senese”, collegato a quello di Michele Senese, con base a Roma. L’alleanza, secondo le indagini, avrebbe avuto come “scopo” la commissione di una sfilza di “gravi” reati, tra cui anche “la scomparsa per ‘lupara bianca’ di Gaetano Cantarella, il 3 febbraio 2020”. E poi ancora “rapine, truffe, riciclaggio, intestazioni fittizie, false fatturazioni”, cessioni di “falsi crediti d’imposta, estorsioni”, recupero crediti, traffico di droga, acquisto e detenzione di armi.

E ancora la “cassa comune” per i detenuti e i contatti con la politica e i colletti bianchi. Nel corso di 21 “summit”, tra il marzo 2020 e il gennaio 2021, le organizzazioni consorziate avrebbero creato un’alleanza in cui le singole componenti hanno dato vita a “un’unica associazione, all’interno della quale ciascuna componente mafiosa ha apportato capitali, mezzi (mobili ed immobili), risorse (anche umane), background, reti relazionali e quant’altro” necessario alla nascita, allo sviluppo e all’affermazione sul territorio dell’associazione.

Autorizzati solo 11 arresti su 154 richiesti dalla Dda. Tra cui l’imprenditore Amico, vicino a FdI e all’ex assessora Rizzi

L’imprenditore Gioacchino Amico, arrestato, era l’uomo che manteneva i rapporti con la politica: i suoi rapporti nel centrodestra vanno da Forza Italia a Fratelli d’Italia, partito al quale si sarebbe iscritto. Si vantava dell’amicizia con la sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti e con la deputata Carmela Bucalo, entrambe di Fratelli d’Italia. Amico ha cercato anche di accreditarsi in Regione Lombardia per mettere le mani sul business della sanificazione: il suo contatto era l’ex assessora leghista allo sport Monica Rizzi. In una conversazione i due parlano di una certa Giulia, che per gli investigatori è Giulia Martinelli, ex moglie di Matteo Salvini e capo segreteria della presidenza di Regione Lombardia.

Per il gip Tommaso Perna, però, la ricostruzione della pubblica accusa “che ha prospettato l’esistenza di un ‘sistema mafioso lombardo è carente, non essendo emersa la prova, nemmeno indiziaria, del fatto che gli odierni indagati si siano volontariamente associati in un unico sodalizio”. “Una volta affermata la natura innovativa, addirittura unica nel panorama storico e geografico della nazione, della consorteria in disamina”, scrive nella sua ordinanza, “sarebbe stato onere dell’organo requirente quello di individuare e tipizzare un’autonoma associazione criminale, che mutui il metodo mafioso da stili comportamentali in uso a clan operanti in altre aree geografiche, ciò al fine di accertare che tale associazione si sia radicata in loco con le peculiari connotazioni descritte”, ma tale prova “è nel caso di specie del tutto assente”.

Per il giudice mancano anche le prove per “affermare” che Paolo Aurelio Errante Parrino, cugino di Matteo Messina Denaro, “abbia proseguito, anche dopo la prima condanna del 1997, il suo rapporto di affiliazione al mandamento di Castelvetrano, né tantomeno all’associazione lombarda ipotizzata dalla pubblica accusa”. La Dda ha proposto ricordo al Riesame contro l’ordinanza del Gip.