Slittano ancora le nomine dei presidenti delle Commissioni parlamentari. Ma la partita resta aperta. Confermati i rumors sulla Boschi

Non c’è intesa di maggioranza sul rinnovo dei vertici delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato e il voto, previsto per questa sera, è di nuovo slittato a data da destinarsi. Tuttavia, nonostante le trattative continuino incessantemente, non demordono le voci secondo cui alla fine, di rinvio in rinvio, per le nuove presidenze delle commissioni se ne riparlerà solo a settembre. Complice anche la difficile soluzione di un sudoku più complicato di quello che si pensi. E non solo per via del fatto che non c’è più una maggioranza formata da due forze politiche (Movimento cinque stelle e Lega), ma da quattro (M5S, Pd, Leu e Italia Viva). Ma anche perché le richieste delle new entry in maggioranza sono molto chiare e spesso anche apparentemente esagerate.

In un momento così delicato per la legislatura, con i tavoli Mes e Benetton ancora da definire, cedere alcune presidenze chiave potrebbe essere uno strumento per far digerire più di qualche boccone amaro. Ed è un quadro, questo, noto tanto ai pentastellati (che possono spingere parecchio sulla questione Aspi, checché ne dica Renzi), quanto a dem et alii (che possono alzare le loro richieste sapendo che i grillini dovranno cedere). A capire alla lettera questo giochino è stata Italia Viva che resiste sul nome di Maria Elena Boschi. L’ex ministra entrerà sicuramente – salvo dovrebbe prendere la presidenza della commissione Giustizia. Ma non è finita qui. Italia Viva potrebbe ottenere anche un’altra pedina fondamentale: la potente commissione Bilancio, che andrebbe a Luigi Marattin al posto di Claudio Borghi della Lega.

Pare invece sfumata l’idea Raffaella Paita ai Trasporti. Ambita, però, è anche la commissione Ambiente con la dem Chiara Braga che se la giocherà con Leu e con l’ex numero uno di Legambiente, Rossella Muroni. Mentre Debora Serracchiani è in corsa per la commissione Lavoro. Un’altra commissione chiave è la Esteri, ora guidata da Marta Grande. Premesso che i 5 Stelle, essendo Di Maio ministro, si sono rassegnati a perderla, c’è il Pd che litiga al suo interno. I nomi in ballo sono tre: Lia Quartepelle, Marco Minniti e Piero Fassino, con la prima avvantaggiata sugli altri due. C’è un altro braccio di ferro sempre tra i dem e riguarda la commissione Sviluppo economico. A contendersela ci sono Luca Lotti e Gianluca Benamati, con quest’ultimo, vicino a Dario Franceschini, che potrebbe spuntarla. “Anche perché – spiegano i 5S – per noi il nome di Lotti è irricevibile”.

Discorso altrettanto complicato al Senato. La strategia dei Cinque stelle, specie a Palazzo Madama, era quella di cedere le commissioni “fotocopia”, quelle cioè dove si ha presidenza sia alla Camera che al Senato: la Esteri e la Politiche Ue. È probabile che alla fine la prima finisca nelle mani di Roberta Pinotti, mentre è difficile che i Cinque stelle rinuncino a Ettore Licheri. In ogni caso dem & C. non vogliono accontentarsi. E così, oltre alle sostituzioni con i leghisti (Pietro Grasso vorrebbe ottenere la Giustizia, mentre il dem Luciano D’Alfonso potrebbe spuntarla per la Finanze al posto del leghista Alberto Bagnai), le due commissioni “puntate” sono Lavoro e Industria.

Quest’ultima sembrava destinata a finire a Enrico Stefano ma sono stati gli stessi membri M5S di commissione a fare quadrato intorno a Gianni Girotto: “Gianni – spiega un senatore – è persona competente su queste materie e in commissione Industria si discutono le norme più delicate”. Ecco perché alla fine potrebbe essere la commissione Lavoro ad essere ceduta: entrerebbe Tommaso Nannicini al posto di Susy Matrisciano.