Spesa militare italiana, Enrico Letta bara sui numeri Nato per spingere la corsa al riarmo

Enrico Letta bara sui numeri della spesa militare italiana per tentare di ricompattare il suo partito sulla corsa al riarmo.

Spesa militare italiana, Enrico Letta bara sui numeri Nato per spingere la corsa al riarmo

Il 14 aprile Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, ospite della trasmissione Forrest su Rai Radio 1, ha dichiarato che l’Italia è il “ventiduesimo Paese” della Nato per spesa militare, aggiungendo: “Se non mi sbaglio, magari poi verrò corretto”. Si parlava ovviamente dell’aumento delle spese militari (votato da quasi tutto l’arco parlamentare) e della guerra in Ucraina. Essere il “ventiduesimo Paese” della Nato per spesa militare ovviamente è un ottimo modo per dire che siamo stati bravi fin qui, che non c’è nulla di esagerato e che dobbiamo perfino essere contenti di esserci potuti permettere di spendere meno degli altri.

Spesa militare italiana, cifre a caso

I numeri però vanno usati, vanno letti e non vanno osati. Letta saprà sicuramente che l’anno scorso la spesa militare italiana ha raggiunto un valore pari all’1,54% del Pil (e in questo siamo la diciottesima nazione nella classifica Nato, insieme alla Macedonia del Nord) ma in valori assoluti l’Italia ha speso qualcosa come 28,5 miliardi di dollari. 28,5 miliardi di dollari ci vedono al quinto posto nella Nato dietro agli Usa (con 725,7 miliardi di dollari), Regno Unito (69,3 miliardi di dollari), Germania e Francia.

Non male per un Paese che Letta vorrebbe dipingere come quasi disarmato. E forse Letta dovrebbe sapere che il suo ministro della Difesa Lorenzo Guerini già nell’ottobre dell’anno scorso, quando ancora non imperversava questo furore bellico in cui si sono arruolati quasi tutti, aveva chiesto al Parlamento di poter spendere oltre 6 miliardi di euro per comprare nuove armi. E in quel periodo non c’era nessun flusso sentimentale da dover accarezzare.

Il fatto è che Letta, non essendone capace, vorrebbe normalizzare un dibattito che all’interno del suo partito è vivissimo poiché, per fortuna, esiste ancora una vasta parte tra gli elettori e gli eletti del Pd che non riesce proprio a esultare per l’acquisto bulimico di armi e per questo segretario che ha indossato l’elmetto come un capo popolo di destra qualsiasi.

Corsa al riarmo, c’è chi dice no

Da Bruxelles arrivano da settimane i distinguo dell’eurodeputato Pierfrancesco Majorino che ritiene “sbagliato aumentare le spese militari” e che considera “il 2% di Pil un regalo all’industria della armi”: “le sfide che abbiamo davanti sono di tale rilievo – dal sostegno all’economia e agli investimenti per il welfare – che non capisco come possiamo pensare di spostare 13 miliardi sulle spese per la difesa”, ha detto qualche giorno fa Majorino in un’intervista chiarendo che “l’aumento al 2% del Pil viene messo in correlazione con la guerra in Ucraina, ma non c’entra niente. 

Majorino, si badi bene, non è una voce isolata e ininfluente: della sua stessa idea sono un’importante fetta tra gli iscritti. Proprio per questo la Presidente del Pd, Valentina Cuppi, che è anche sindaca di Marzabotto, ha tuonato contro Letta in un’intervista a Repubblica: “Non possiamo di certo avere toni trionfalistici nel dire che siamo tutti d’accordo per il sostegno in termini di armamenti”, ha detto Cuppi chiedendo a Letta un confronto aperto.

“Io sono la presidente dell’assemblea nazionale del Pd, non abbiamo ancora avuto una riunione dell’assemblea sul tema della guerra. Siamo un partito plurale, di fronte a una situazione complessa bisogna ascoltare le persone che si stanno interrogando su come fermare il conflitto”, spiega Cuppi.

Per Letta insomma non funzionerà ancora a lungo nascondersi dietro numeri (sbagliati) usati per redimere una questione politica che nel suo partito si ingrossa.