Spunta la croce celtica

di Carola Olmi

La parentela non è un mistero. Certo, un governo di Sinistra che nomina amministratore delegato di una delle più importanti aziende italiane un signore che di cognome fa Starace è senz’altro curioso. Ma di acqua ne è passata sotto i ponti della storia, e tra il manager Francesco Starace e il gerarca fascista Achille Starace sembrerebbe essere rimasto giusto il cognome. Ma le cose stanno davvero così? In questo caso sembra di no, perché ci sono persone che certe fedi politiche se le portano dappresso, nel fondo del cuore. E quando nel cuore non ci si arriva, allora ci si ferma più vicino possibile, magari tatuando una bella croce celtica sul petto, come quella che Starace fa entrare tutti in giorni in Enel ben stampigliata sul petto di uno dei suoi autisti. D’altra parte, come si sa, chi si somiglia si piglia.

APOLOGIA
E nonostante in questo Paese sia ancora un reato l’apologia del partito fascista, da un signore che è diretto discendete del gerarca che fu per otto anni (dal 1931 al 1939) segretario del partito fascista certe malinconie si possono comprendere. La politica, d’altronde, agli Starace è sempre stata congeniale. Lo fu ad Achille, che nonostante il ripudio negli ultimi anni di vita da parte di Benito Mussolini, finì ugualmente a testa giù e gambe all’aria a Piazzale Loreto. E oggi lo è altrettanto per il fratello dell’amministratore dell’Enel, l’ambasciatore Giorgio Starace, proprio in questi giorni costretto a lasciare l’incarico negli Emirati arabi dove secondo la Procura di Reggio Calabria avrebbe favorito la latitanza dell’ex onorevole del Centrodestra Amedeo Matacena.

INDAGA L’ANTIMAFIA
Proprio su questa vicenda La Notizia ha svelato una serie di dettagli che hanno indotto la Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, a prendere ufficialmente le distanze dal vicepresidente della stessa Commissione, Claudio Fava, dopo un’audizione secretata dei Pm di Reggio Calabria e della Dna, Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio. Una storia intricata, sulla quale nei prossimi giorni l’Antimafia sentirà il direttore dell’Aise (l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Alberto Manenti.
Che la Destra, d’altronde, con gli ambasciatori stia messa bene lo ricorda la storia di Mario Vattani, figlio di Umberto e console a Osaka, costretto nel 2012 a lasciare l’incarico dopo essere stato sentito (e filmato) a un concerto dei circoli di Casa Pound mentre cantava – saluto romano in bella mostra – inneggiando al partito della buonanima. Se è grave che i nostri diplomatici si esibiscano in performance di tale tipo – la Farnesina revocò Vattani jr dall’incarico – non può non far riflettere che una delle più grandi aziende italiane, leader in un settore strategico, abbia al timone un signore che ha scelto di farsi accompagnare da personale con la croce celtica sul petto. Perché l’amministratore delegato di un colosso come l’Enel il proprio personale di servizio se lo può scegliere.

BRUTTI SEGNI
Ora è chiaro che l’orientamento politico di ciascuno è libero e personale. Ma un’azienda come l’Enel porta con se l’immagine stessa dell’Italia nel mondo. Più degli ambasciatori, più dei ministri e di ogni rassicurazione si possa offrire di essere una Repubblica compiutamente democratica. E che può pensare invece chi dovesse confrontarsi con un manager con tale cognome, con tale autista, con tale fratello che voci molto ben informate assicurano essere indagato mentre il diretto interessato nega? Bucce di banana sulle quali rischia di scivolare non solo Starace, ma il nome del nostro Paese e gli interessi fortissimi che ha un’azienda con migliaia di dipendenti e asset in mezzo pianeta.