Stato-mafia, Colle sotto pressione. Napolitano in aula per chiarire

di Lapo Mazzei

Essendoci di mezzo il capo dello Stato, che di questi tempi sembra essere particolarmente attento a tutto, partiamo dai fatti. La Corte di Assise di Palermo ha ammesso la testimonianza del presidente della Repubblica nel processo per la trattativa Stato-mafia “nei soli limiti della conoscenza del teste che potrebbero esulare dalla funzioni presidenziali e dalla riservatezza del ruolo”, secondo quanto disposto dalla Corte costituzionale.

Sul filo della Costituzione
Napolitano figura nella lista testi della Procura, che intende sentirlo sui colloqui tra Nicola Mancino e l’ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio. La Corte ha ritenuto ammissibile l’articolato dei Pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, limitatamente ai colloqui con D’Ambrosio, scomparso un anno fa, ed entro il quadro definito dalla Corte costituzionale nella sentenza con cui aveva accolto il ricorso del presidente della Repubblica per la distruzione immediata delle intercettazioni delle sue conversazioni telefoniche con Nicola Mancino. Di queste registrazioni, che sono state poi effettivamente distrutte, non si parlerà nel processo.
Dunque l’inquilino del Quirinale, nel caso in cui dovesse “accettare” l’invito della Procura, potrebbe  dire la sua, raccontare la propria versione dei fatti, senza che questi vengano messi in discussione da verbali o intercettazioni. Non un trattamento di favore ma un “percorso particolare”, giocato sui bordi della Costituzione. Per essere ancora più espliciti: “Il Presidente Napolitano non sarà ascoltato sul contenuto dei colloqui precedenti alla lettera inviata dal consigliere giuridico Loris D’Ambrosio il 18 giugno 2012 al capo dello Stato”, come ha sottolineato il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, dopo la decisione dei giudici della Corte d’assise di ascoltare come testimone il capo dello Stato. “Il Presidente – ha spiegato – gode di una speciale prerogativa che è la particolare riservatezza delle sue conversazioni. Quindi la testimonianza non potrà mai vertere sulle conversazioni che ha avuto eventualmente con D’Ambrosio precedenti alla lettera del giugno 2012”.

Alcune domande
Questo il quadro complessivo. Ma davvero, allora, tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge? E il capo dello Stato può rifiutarsi di andare a Palermo, trattandosi di un processo tangenziale all’attività del Quirinale? La risposta della presidenza della Repubblica non smentisce né conferma: “Si è in attesa di conoscere il testo integrale dell’ordinanza di ammissione della testimonianza adottata dalla Corte di Assise di Palermo per valutarla nel massimo rispetto istituzionale”. Dunque Napolitano valuta.
Modesto dettaglio: anche il presidente del Senato Pietro Grasso sarà sentito come testimone al processo per la trattativa tra Stato e mafia. E la seconda carica dello Stato, da ex magistrato, deporrà al processo di Palermo. Il Quirinale valuta, Palazzo Madama accetta. Eppure la Costituzione è la stessa per tutti e due. Cautela, invece, da parte del ministro della Giustizia. “Non ho letto la motivazione, prima vorrei documentarmi. Certo mi lascia un po’ perplessa” e la convocazione “mi sembra un po’ inusuale”, dice Anna Maria Cancellieri. Potrà anche esserlo, ma cos’è usuale in questo Paese? Napolitano può valutare e Berlusconi solo accettare? Altro dettaglio, non certo marginale. I pm Teresi, Di Matteo, Del Bene e Tartaglia vogliono sentire il presidente Napolitano su un episodio in particolare. “Le preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012”, questo hanno scritto i magistrati nella lista dei 177 testimoni da citare in Corte d’Assise. In quella lettera – resa nota dal Quirinale nel volume “La Giustizia. Interventi del Capo dello Stato e Presidente del Csm. 2006 -2012” – D’Ambrosio esprimeva il “timore” di “essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993”. Nell’Italia dei misteri, forse è davvero il momento di fare chiarezza.