Stipendi pubblici, la Consulta rinvia la patata bollente. Sbloccare i salari dei dipendenti di ministeri ed enti locali costerebbe 35 miliardi

Sulla vicenda esplosiva del blocco degli stipendi pubblici, sulla cui legittimità è chiamata a esprimersi, la Corte costituzionale ha preso tempo. E ha rinviato la decisone a oggi, salvo sorprese. La camera di consiglio, cominciata ieri, è infatti stata aggiornata a stamattina. E’ la prova, se per caso ce ne fosse ancora bisogno, dell’estrema delicatezza della questione. Del resto nelle scorse settimane l’Avvocatura dello Stato ha fatto presente che, solo per il pregresso, l’eventuale illegittimità del blocco dei trattamenti potrebbe costare alle casse dello Stato la bellezza di 35 miliardi di euro. Da qui le argomentazioni sviluppate ieri in udienza dalla stessa Avvocatura. “La misura scelta dal legislatore è stata adottata in luogo di altre e ben più gravi misure, quali la risoluzione del rapporto di lavoro”, ha detto l’avvocato dello Stato, Vincenzo Rago, sostenendo la legittimità delle norme che prevedono il blocco dei contratti e degli stipendi nella Pubblica amministrazione (deciso dal 2010 e sempre prorogato). Rago non ha citato direttamente la stima dei 35 miliardi di euro come “costo” di un eventuale sblocco dei contratti, ma ha rilevato che “i numeri dell’impatto economico che ci sono stati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato segnalano l’assoluta gravità della situazione”. Per questo ha chiesto alla Corte, in via “assolutamente subordinata”, nel caso vi fosse un accoglimento della questione, di fare “riferimento all’articolo 81 della Costituzione sul principio di equilibrio di bilancio”.