Strada obbligata per i Cinque Stelle. La salvezza è cambiare sul serio. Dopo la delusione delle Regionali il tempo stringe. Il futuro dei grillini si deciderà con gli Stati Generali

Un tonfo pazzesco. Che potrebbe segnare anche la fine del Movimento cinque stelle se non si decide a intervenire per segnare un cambio di rotta e di paradigma all’interno della forza politica di Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Le urne regionali di Emilia Romagna e Calabria potrebbero segnare un punto di non-ritorno su cui inevitabilmente chi di dovere dovrà interrogarsi. Perché una cosa è certa: se si è passati da oltre il 30% delle elezioni politiche del 2018 a uno scarno 6,3% in Calabria e a un 4,7% in Emilia, più di qualche cosa nel giro di meno di due anni è stato sbagliato. Peraltro non passano inosservati i silenzi di Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Beppe Grillo e Davide Casaleggio.

Il problema è che più scorre il tempo, meno i “ragazzi terribili” di Beppe Grillo piacciono agli italiani: che al vertice ci sia Di Maio o non ci sia. Tanto, la linea non cambia: “Non dobbiamo replicare i partiti, ma occuparci dei temi che interessano i cittadini”, dice infatti il reggente Vito Crimi il day after l’ennesima, rovinosa caduta elettorale. La “terza via” non si tocca, nonostante il viceministro dell’Interno ammetta che il suo movimento è finito schiacciato dalla “polarizzazione” del voto in Emilia Romagna e Calabria.Il futuro comunque è un’incognita. “Il M5S è in un momento di rinnovamento – prova a spiegare Crimi -. È nato in una fase in cui il bipolarismo aveva fallito, perché erano due facce della stessa medaglia e noi siamo entrati in questo meccanismo tentando di portare una ventata di aria fresca”. Sono lontani i tempi dello ‘Tsunami tour’, ora bisogna capire da che parte ricominciare: “Da questo momento in poi il nostro compito è rilanciare, non fermarci”, ribadisce il neo capo politico.

ERRORI DA NON RIPETERE. Tuttavia, a poco serve ricordare le battaglie vinte e quelle prossime se poi in campo elettorale le battaglie le si perde con questi numeri. C’è un dato che emerge con tutta la sua emergenza all’interno del Movimento: ciò che i cinque stelle hanno incredibilmente e inaspettatamente perso, è il legame col territorio. Se un tempo il Movimento era percepito come l’insieme – a tratti anche scomposto – di persone che si impegnavano sul territorio che vivevano giorno per giorno e che poi hanno fatto un salto al Parlamento, come alieni, ora è l’esatto contrario: i grillini sono percepiti, loro malgrado, come uomini di palazzo che non sanno più cosa accada nei territori. Alla faccia dei meet-up ormai diventati fantasmi delle organizzazioni animate che c’erano un tempo. Eppure non si cambia. Del Pd e di un eventuale alleanza strutturale non se ne parla nemmeno per sbaglio: “Ho ascoltato sia le parole di Giuseppe Conte che di Nicola Zingaretti, anzi con il premier mi sono sentito. Non parlerei di collocazione”, ha detto ancora Crimi.

Tanto per ora non si cambia idea neanche sulle candidature autonome alle prossime regionali di Toscana, Puglia e Liguria. L’appello è sempre lo stesso: “Restare uniti, non lasciarsi irretire da facili sirene”. Facili neanche tanto, però, Ecco perché determinante saranno gli Stati generali di marzo. Ma a patto che si cambi davvero, come chiesto nel documento presentato dai senatori M5S capeggiati da Primo Di Nicola. Se, invece, il maxi-incontro si tradurrà in una inutile passerella che riporterà in auge lo status quo con nessun organo collegiale e con i soliti volti noti al potere, sarà la morte per il Movimento. Che è stata sì una bella esperienza, di rottura e di promesse, ma non è stato capace, nella difficoltà, di evolversi e maturare. Cravatta o non cravatta.