Nuove ombre sulla morte di Borsellino. Per la figlia Lucia il padre aveva con sè un’agenda rossa prima della strage. Ma La Barbera disse che non era mai esistita

Lucia Borsellino interrompe il silenzio. E lo fa testimoniando davanti alla corte d’assise di Caltanissetta, che sta celebrando il quarto processo sulla strage di via d’Amelio. A quasi quattro mesi dalle sue dimissioni, la Borsellino ieri ha difeso la madre, ha raccontato lo scontro con Arnaldo La Barbera e ha riaccesso i riflettori sul mistero dell’agenda rossa, il diario dal quale il giudice Paolo Borsellino non si separava mai.

LA TESTIMONIANZA
“Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai”, ha detto la figlia del magistrato assassinato, rievocando quel pomeriggio del 19 luglio 1992, quando Borsellino si spostò da Villagrazia di Carini a Palermo per andare a prendere la madre e portarla dal medico. “Non so perché la usasse – ha aggiunto – o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro”. Secondo le varie ricostruzioni, il magistrato uscendo di casa inserì nella sua borsa un’agenda marrone (che utilizzava come rubrica telefonica), le chiavi di casa e le sigarette, oltre appunto all’agenda rossa dei carabinieri, che utilizzava come diario di lavoro. La borsa che custodiva quell’agenda rossa finì ovviamente agli atti degli inquirenti subito dopo la strage che massacrò Borsellino. Dopo la strage, ha spiegato poi la Borsellino – la borsa le venne riconsegnata dal questore Arnaldo La Barbera, ma mancava l’agenda rossa. Chiese spiegazioni, ma ricevette una reazione “scomposta”. Infatti La Barbera, rivolgendosi alla madre si Lucia, disse che sua figlia “delirava”. Dopo la figlia del magistrato assassinato in via d’Amelio, la corte d’assise nissena ha ascoltato anche il fratello di Lucia, Manfredi. Il quale ha dichiarato che il padre fu ucciso 24 ore prima che andasse a svelare alla Procura di Caltanissetta quel che sapeva sulle “confidenze” del suo amico Giovanni Falcone e quelli che potevano essere i moventi e l’ambito nel quale Falcone era stato assassinato. Chi sapeva che Paolo Borsellino il giorno dopo sarebbe andato a raccontare la sua verità sulla morte del collega ed amico fraterno Giovanni Falcone? Interrogativo che si aggiunge agli altri tanti interrogativi e depistaggi che ruotano attorno alla strage in cui fu ucciso Paolo Borsellino che la Procura di Caltanissetta cerca di risolvere ma con molte difficoltà.

NESSUN AVVISO
La corte d’assise nissena ha ascoltato anche un altro testimone, protagonista della stagione politica insanguina dalle stragi e poi finita con Tangentopoli: l’ex ministro della Difesa Salvo Andò, informato dall’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, di un piano di attentati che avrebbe avuto come bersagli sia lui che Borsellino. “Vidi in aeroporto, a Roma, Borsellino dopo la strage di Capaci – ha raccontato l’ex socialista – Gli accennai alla nota del capo della polizia Parisi in cui si parlava di un rischio di attentati ai nostri danni. Lui mi disse di non essere stato informato della vicenda”.