È stato di recente aperto un confronto tra Governo e sindacati nell’ambito dell’osservatorio sulla spesa previdenziale, avente ad oggetto una disamina di carattere generale sul sistema previdenziale che si sta concentrando in particolare sui seguenti temi: istituzione di una pensione di garanzia per i giovani, la ricerca di una maggiore flessibilità in uscita, pensionamento agevolato per mansioni gravose e donne, e previdenza complementare.
Rispetto a questi temi la Cisal ritiene che La questione previdenziale debba essere affrontata nella sua complessità, avendo riguardo soprattutto al fatto che vi è la necessità di riformare il sistema offrendo la garanzia, per gli anni a venire, di una pensione dignitosa secondo uno schema lineare e univoco, basato su una valutazione della congruità dell’assegno, da effettuarsi al momento del collocamento in quiescenza, e suggerendo dei correttivi nel caso in cui esso fosse ritenuto inadeguato.
Serve un cambio di passo anche rispetto all’atteggiamento che il Sindacato ha assunto negli ultimi anni, incentrato a ricercare deroghe parziali e temporanee al complesso di regole determinate dalle riforme Dini e Fornero, ad esempio attraverso meccanismi per l’uscita anticipata riservata comunque a ristrette platee di lavoratori/lavoratrici (si pensi a quota 100 e/o 102) senza mettere mano al vero problema, ovvero l’enorme abbassamento dei rendimenti pensionistici che da qui a pochi anni si manifesterà per effetto della piena applicazione del metodo di calcolo contributivo.
Il Sindacato deve farsi carico delle esigenze delle generazioni future ponendo i presupposti per assicurare ai pensionati di domani trattamenti dignitosi. In questo scenario concentrarsi solo sull’età pensionabile, e magari prodigarsi per l’uscita anticipata di qualche decina di migliaia di lavoratori in più nel prossimo biennio, rischia di tradursi in una battaglia di retroguardia, utile oltretutto a gravare di oneri ulteriori i pensionati del futuro, che avranno il dilemma di allungare il proprio servizio lavorativo, proprio per non subire significative decurtazioni di reddito!
Dobbiamo guardare alla luna e non al dito, riconoscendo che l’attuale sistema pensionistico italiano poggia le sue basi su una contraddizione di fondo data da un anomalo innesto del metodo di calcolo contributivo, che è proprio dei sistemi a capitalizzazione, su un sistema a ripartizione.
Tenendo a mente queste nozioni, ricordiamo che il modello a ripartizione si dovrebbe fondare sul principio della solidarietà intergenerazionale; proprio quest’ultima, tuttavia, è destinata a venire meno con grave danno per le generazioni future; ed è proprio questo il tema che la CISAL sta ponendo al centro del confronto in atto con il Governo.
Bisogna ricordare che il sistema contributivo inaugurato con la riforma del 1996 ha determinato un accantonamento solo virtuale dei montanti contributivi, che, pertanto, non producono alcun rendimento reale; come se non bastasse, tali montanti non vengono nemmeno rivalutati in base all’andamento dell’inflazione, ma in base all’andamento del PIL, cosa che ovviamente va tutto a sfavore del lavoratore.
Da questa base tecnica non possono che scaturire assegni evidentemente bassi e non equiparabili a quelli percepiti dagli attuali pensionati. In questo scenario, la previdenza complementare, da molti, indicata come una panacea, rappresenta un puro palliativo; essa non offre innanzi tutto rendimenti certi o migliori del TFR ma in ogni caso, resterà preclusa proprio ai lavoratori poveri, che sono destinati a passare da un presente di lavoro povero a un futuro di pensione povera.
Di fronte a questo quadro, obiettivamente preoccupante, bisogna cominciare ad adottare contromisure, partendo proprio dalla considerazione che essendo il sistema attuale a ripartizione e non capitalizzazione la tenuta finanziaria del medesimo dipende necessariamente dal rapporto fra occupati (regolari) e pensionati, per cui le risorse necessarie debbono essere reperite attraverso politiche che favoriscano l’occupazione e riducano fenomeni di evasione ed elusione contributiva.
Va peraltro detto che il sistema di calcolo contributivo, per come è stato pensato, non permetterebbe neanche di intercettare eventuali avanzi di bilancio, per cui anche se attraverso le politiche sopra delineate si dovesse giungere a generare entrate contributive per un valore superiore rispetto alle uscite, le prestazioni erogate in quella determinata fase “storica” non potrebbero subire comunque un miglioramento a meno di non iniziare a ipotizzare la formazione di accantonamenti ad personam, legati alla quantità di contributi versati secondo le formule tipiche dei sistemi a capitalizzazione.
Allo stato attuale, tuttavia, qualsivoglia strategia o soluzione al problema sembra non poter prescindere, proprio per la natura dei sistemi a ripartizione, dall’ incremento/mantenimento dell’occupazione, di adeguati livelli retributivi e dalla riduzione dei fenomeni di evasione ed elusione contributiva.
In tale contesto e sulla base di tali presupposti, nel perdurare di un sistema a ripartizione basato sulla solidarietà intergenerazionale, si deve avviare il ragionamento sul recupero della adeguatezza di quelle prestazioni pensionistiche che dovessero risultare particolarmente basse a causa dell’applicazione del calcolo contributivo, attuando ove necessario, interventi finanziati dalla fiscalità generale.
Tutto ciò premesso e considerato, la Cisal ritiene che due siano le direttrici lungo cui sviluppare un’azione di riforma del sistema previdenziale, per affrontare il problema nei termini indicati. In primis, si dovrebbe individuare un nuovo coefficiente per la rivalutazione dei montanti contributivi, che, per coerenza, dovrebbe corrispondere al tasso di rivalutazione del TFR.
La seconda direttrice è rappresentata dall’istituzione di una integrazione pensionistica di garanzia, qualora la pensione calcolata con il metodo di calcolo contributivo, risultasse non conforme ad un parametro di adeguatezza, che la CISAL ritiene debba essere determinato, anche per coerenza di trattamento “fra generazioni”, facendo riferimento al sistema di calcolo retributivo.
In tal senso l’intervento di copertura, ovvero l’integrazione di garanzia, dovrebbe attivarsi qualora la prestazione pensionistica calcolata col metodo contributivo risultasse inferiore oltre una certa soglia rispetto quella calcolata con il metodo retributivo puro; fino al raggiungimento di detta soglia.
Il parametro di adeguatezza, calcolato sulla base del sistema di calcolo retributivo, dovrebbe prendere in considerazione un periodo massimo di 43 anni di contribuzione (al fine del raggiungimento di una soglia-parametro massima pari all’80% della retribuzione media riferita agli ultimi 5 anni), ed essere applicato limitatamente a pensioni che calcolate col metodo contributivo, risultassero inferiori ad una determinata soglia ( ad es. 6 volte l’assegno sociale).
Sarebbe un parametro cioè “variabile” che terrebbe conto dell’attività lavorativa svolta (e dai contributi comunque versati) da ciascun soggetto, al fine di evitare di attuare una totale equiparazione tra situazioni contributive diverse, oppure di arrivare al paradosso, che pure rischia di verificarsi, di corrispondere a coloro che hanno situazioni contributive di un certo rilievo (es più di 20 anni di contribuiti versati) un assegno di fatto uguale all’assegno sociale (che notoriamente viene pagato anche a chi non ha alcun contributo previdenziale); riteniamo cioè che una corretta “previdenza sociale” debba tener in adeguato conto anche questo limite.
Per quanto concerne il modus con cui operare l’eventuale adeguamento – nell’ipotesi in cui non intervenissero maggiori entrate contributive rispetto alle uscite per prestazioni, ad esempio collegate ad aumenti dell’occupazione e/o recupero evasione contributiva – si reputa che si potrebbe intervenire, in primis, ove vi sia capienza, attraverso meccanismi di detassazione: cosa che consentirebbe peraltro di mantenere la spesa previdenziale lorda inalterata, con vantaggi, a livello generale, sul computo di tale spesa rispetto agli indicatori adottati in sede Europea.
Dove non vi fosse capienza di imposta, si dovrebbe intervenire attraverso la fiscalità generale. Così come analogamente nel caso in cui l’applicazione dell’adeguamento, determinasse un abbattimento dell’imposta, tale da non consentire il recupero delle detrazioni accertate in sede di dichiarazione dei redditi.
Per quanto concerne le fonti di finanziamento del sistema, la Cisal chiede, inoltre, l’introduzione di un nuovo contributo di solidarietà, ove non già presente, a totale carico dei datori di lavoro, determinato su un X% da calcolarsi sulla quota di retribuzione eccedente il massimale di contribuzione.
Se la nostra proposta fosse attuata verrebbe meno, infine, la necessità di rincorrere alcuni temi pure importanti, quali la copertura contributiva per i periodi non lavorati o il riscatto gratuito della laurea quando essa è requisito necessario all’impiego, che sono di attualità; tutti questi aspetti infatti troverebbero compiuta risoluzione nello schema generale proposto.
In relazione alla questione, pure posta dalla nostra confederazione, relativa al riscatto gratuito della laurea, è del tutto evidente che ogni eventuale soluzione tecnica al riguardo rimane condizionata dall’accoglimento o meno della proposta di riforma ora formulata; Resta sullo sfondo, indiscutibilmente collegata a questo problema, la questione più generale delle natalità: in un Paese destinato ad invecchiare, infatti, sarà ancora più difficile mantenere in equilibrio il sistema previdenziale.
Intervento del Segretario generale della Cisal, Francesco Cavallaro