Sullo sfondo di Universitopoli le due lobby dei tributaristi italiani. A cui aderiscono 39 indagati su 44

di Stefano Sansonetti

L’impressione, magari anche un po’ sbrigativa, è che in Italia difficilmente si possa diventare professori di diritto tributario senza accostarsi all’Aipdt o alla Ssdt. Cosa sono? Si tratta rispettivamente dell’Associazione italiana dei professori di diritto tributario e della Società tra gli studiosi di diritto tributario, di fatto le due principali “lobby” di fiscalisti oggi operanti all’interno del mondo accademico. Le realtà sono evocate all’interno dell’inchiesta della procura di Firenze che ha portato a iscrivere sul registro degli indagati 44 accademici, di cui 7 agli arresti domiciliari, tutti a vario titolo accusati di aver truccato le procedure di abilitazione per spingere le carriere dei loro protetti. In effetti, andando a controllare gli elenchi soci, e incrociandoli con i nomi coinvolti nell’inchiesta, si rileva l’enorme peso specifico delle due associazioni.

NUMERI – Tanto per cominciare ne viene fuori che 39 indagati su 44 risultano soci o dell’Aipdt o della Ssdt. L’incidenza della prima, se così si può dire, è più consistente: 28 indagati sono infatti soci dell’Aipdt e 11 della Ssdt. Gli esperti del settore sono anche concordi nell’individuare le sfere d’influenza. Nell’Aipdt, per dire, spicca il ruolo di Fabrizio Amatucci, ordinario all’università di Napoli, finito agli arresti domiciliari. L’accademico è segretario e tesoriere dell’associazione, oltre ad avere un posto nel consiglio direttivo. Tra l’altro, secondo il programma del convegno annuale dell’Aipdt, previsto a Venezia il 20 e 21 ottobre prossimi, Amatucci dovrebbe fare il relatore in una sessione dal titolo “formazione post laurea e reclutamento nella docenza universitaria”. Per lui, in tal senso, l’inchiesta di Firenze non sarà un gran biglietto da vista. Ma all’interno dell’Aipdt un altro nome che conterebbe è quello di Francesco Tesauro, ordinario di diritto tributario all’Università di Milano-Bicocca, indagato in attesa di interrogatorio da parte del gip. Nella Ssdt, invece, la trazione principale sarebbe da ascrivere all’ex ministro Augusto Fantozzi, ordinario di diritto tributario all’Università Giustino Fortunato di Benevento, anche lui indagato in attesa di interrogatorio all’esito del quale il giudice valuterà se applicare misure interdittive. Va poi registrato che il presidente della Ssdt, Pietro Boria, ordinario a La Sapienza di Roma, è tra gli accademici indagati a cui è stato interdetto l’insegnamento per un anno. Altra curiosità vuole che anche Philip Laroma Jezzi, il ricercatore di Firenze dalle cui denunce è nata l’inchiesta, risulti socio della Ssdt (almeno a stare agli elenchi tutt’ora pubblicati su internet). Di sicuro queste due associazioni, per il momento, subiscono una forte ripercussione, sebbene indiretta, dall’inchiesta di Firenze. Considerando la categoria dei professori ordinari, infatti, viene fuori che 17 accademici, sui 34 aderenti all’Aipdt, sono iscritti sul registro degli indagati. Così come sono 9 gli ordinari, sui 18 complessivamente inquadrati come soci della Ssdt, a risultare indagati nella medesima inchiesta fiorentina.

I PESI – Insomma, in entrambi i casi parliamo curiosamente del 50% degli aderenti. Le cose non vanno molto meglio se si considerano anche le categorie dei professori associati e dei ricercatori. In quest’ultimo caso si può dire che circa un terzo dei soci di Aipdt e Ssdt risulta indagato all’interno di Universitopoli. E questo non può che far riflettere sul ruolo delle due “lobby” tributarie, in teoria associazioni a carattere scientifico, nate per veicolare il sapere in quella determinata disciplina. Ma gli accertamenti condotti dagli inquirenti di Firenze alimentano il sospetto che siano anche luoghi in cui si perfezionano determinati accordi spartitori. Il che, in ultima analisi, fa pensare che forse le stesse logiche possano contraddistinguere altre discipline giuridiche (o altre discipline accademiche in genere) e le loro associazioni di riferimento. Un quadro che fa riflettere ancora una volta con allarme sulle modalità di reclutamento all’interno degli atenei italiani.